classici1-1845135

SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

BATTLE ROYALE (Batoru Rowaiaru, FUKASAKU Kinji, 2000)

24° FAR EAST FILM FESTIVAL (Udine, 22-30 aprile 2022)


fukasaku201-8580089

Guardando il documentario, facilmente reperibile online, del “making of” di Battle Royale,  colpisce il furore creativo di Fukasaku, la limpidezza della sua visione: il suo caos irrazionale è meticolosamente allestito, la funzione di ogni personaggio è limpida, la sua ridefinizione dei codici – in una deflagrazione che coinvolge il corpo e lo spirito del tempo – nasce da una pulsione estetica ed etica lungamente meditata e disciplinata. Fukasaku appare consapevole dell’aura epocale di quello che si rivelerà essere il suo ultimo film: l’archetipo del battle royale genre, in cui un gruppo di persone è costretto a uccidersi l’un l’altro fino all’ultimo sopravvissuto trionfante. Il regista dà corpo a una cultura fino a quel momento percepita come stato d’animo e vissuta come nevrosi.

Ispirato dal romanzo omonimo del 1999, Battle Royale vibra di tensioni opposte, lega col sangue passato e futuro. Fukasaku, settantenne pieno di energia (come sottolinea Kitano nel making of), “torna” al passato per superarlo, a partire dal celebre intro Toei con l’oceano che si infrange sugli scogli. Il regista non solo infonde un senso trascendentale di apocalisse abbinando all’intro classico la potenza musicale del Dies Irae di Verdi, ma riprende più volte nel corso del film, da prospettive leggermente decentrate, la medesima immagine degli scogli. Un’allusione al mestiere del cinema, alla finzione che gli ha permesso, attraverso il tempo, di esprimere le variazioni del proprio immaginario: fino all’esplosione postmoderna di Battle Royale.

Sin dalle prime scene del film, i giovani in divisa scolastica stabiliscono un ponte col passato, con quel genere gakusei-mono popolare nel periodo classico e praticato anche da Ozu: ma gli scherzi agli insegnanti di Sono stato bocciato, ma… (1930), girati in stile slapstick, qui diventano la brutale coltellata inferta a Kitano. Le problematiche tra adulti e giovani sono al giro di vite: tensioni nate nel dopoguerra – si pensi a tutti i “giovani ribelli” cinematografici dai ’50 in poi, la cui opposizione alle regole della tradizione assume forme sempre più radicali e violente – culminano in una frattura insanabile. Dalla voglia di indipendenza delle protagoniste di Ozu, alle famiglie disfunzionali dei film di Naruse, passando per i giovani nichilisti della new wave (Nūberu bāgu), arriviamo a film come Battle Royale o Suicide Club (2001) di Sono Sion. L’inasprimento dell’irrazionalità della violenza adulta genera una giovinezza lacerata dalla pulsione di morte.

Fukasaku racconta l’episodio alla radice del film: “Avevo quindici anni nel 1945, quando la mia classe fu arruolata in una fabbrica di munizioni. A un mese dalla fine della guerra, gli americani aprirono il fuoco su di noi. Era impossibile fuggire o nascondersi, credevo di impazzire… Dopo l’attacco, i superiori ci ordinarono di sbarazzarci dei cadaveri dei nostri compagni. Mentre sollevavo le braccia e le gambe mozzate, ho avuto un risveglio fondamentale… Non ci si poteva fidare degli adulti. Le emozioni che ho provato allora, l’ostilità velenosa verso gli adulti, sono state il punto di partenza di tutto.”¹

Il regista giunge alla fine del ‘900 con un carico psicologico, culturale ed estetico esplosivo. Non solo ha attraversato attivamente mezzo secolo di cinema e storia, ma è incredibilmente ricettivo nei confronti dei canoni del nuovo millennio, al punto da anticiparli: coglie, in particolar modo, la regressione infantile di una società adulta pronta alla competizione con l’oggetto del suo desiderio, ovvero una prolungata adolescenza. Il video introduttivo della gara, con il suo grottesco connotato ludico e una grafica da videogame, è emblematico della puerilità che tutt’ora caratterizza mass media e strumenti del comunicare in Giappone.

Come “racconto di formazione” Battle Royale ha molto da condividere con altri elementi della cultura del tempo. Si veda la scena iniziale, con i ragazzi che scherzano serenamente nel bus, convinti di partecipare a una banale gita scolastica: a un certo punto il gruppo attraversa una galleria lunga e nera. Lo stesso accade a Chihiro nelle sequenze iniziali de La città incantata (2001) di Miyazaki, come metafora dell’avventura interiore e di crescita che attende la protagonista. Fukasaku e Miyazaki introducono i propri giovani nello stesso passaggio nero, ma in Battle Royale tutto precipita nell’orrore. In entrambi i casi, gli adulti (l’insegnante assassino in Battle Royale, i genitori ingordi mutati in maiali in La città incantata) si dimostrano inaffidabili. 

Vero e proprio laboratorio in fieri di generi, Battle Royale sconvolge per la mutazione continua che avviene dinanzi ai nostri occhi: dinamiche classiche degli anime quanto dei fumetti – i legami d’amore e amicizia, gli struggimenti, la purezza dei sentimenti, l’esperienza del Male – vengono immersi nel sangue. L’emblema stesso dell’innocenza – la ragazzina in divisa e calze bianche, con una bambola in mano – appare corrotto sin dalle prime inquadrature, vittima della società adulta e oggetto dell’invadenza dei media: l’infanzia è esposta e sfruttata, ridotta a materiale spettacolare (come avverrà, qualche anno dopo, nel j-horror Noroi-The Curse, 2005, Shiraishi Kōji).

Fukasaku crea una dimensione in cui l’“onda che si infrange sul mare” è anche il movimento tra passato e futuro. Nello scorrere dei tre giorni di “gioco”, il regista ripropone, nella sua prospettiva deragliata, tanti elementi del racconto tradizionale (cinematografico, mitico): in particolare, i suicidi dei giovani innamorati (secondo la tragica usanza dello shinjū). 

Ma anche il Giappone come società storicamente patriarcale finisce nei fendenti del regista: eloquente, a tal proposito la scena che vede il ragazzo n.16, Niida, tentare lo stupro ai danni di Chigusa, ragazza n.13: ma Chigusa si ribella (“ti combatterò con ogni parte del mio corpo!”), vendicando così tante protagoniste del passato stuprate (si pensi ai classici ambientati nel Giappone feudale) e uccidendo Niida a colpi di coltello inferti soprattutto nel pene, in una versione ancor più gore de L’impero dei sensi (1976) di Ōshima.

Fukasaku è un uomo-cinema, conosce epoche e stili e li cavalca con furore inarrestabile: è così che persino un litigio tra ragazze kawaii diventa un’epica battaglia di violenta astrazione alla Peckinpah, tra coreografie di corpi trivellati, fiori di sangue di pura bellezza sul candore delle camicie e lacrime di malinconico e grafico lirismo. La scena sul faro, immediatamente successiva, dispiega colori da grande melodramma: uno sturm un drang di vero romanticismo, accentuato dalla regia di Fukasaku che amplifica la solitudine del ragazzo n.15, Nanahara Shūya, attraverso un rapido carrello all’indietro. Shūya è smarrito nella grandezza del paesaggio –  e del suo dolore.

La sequenza finale, che vede i sopravvissuti Noriko e Shūya finalmente ritrovare lo spazio urbano, stilisticamente appare modernissima, quasi un fantasma di tanti drama televisivi futuri: una intuizione di un futuro in cui, placati i furori, le Battle Royale sono ormai domate dal filtro puritano e mainstream di Hunger Games (2012) o reimmaginate dalla Corea del Sud dell’inoffensivo, quanto colorato, Squid Game (2021). Ma intanto, nella propria dimensione separata, la schiuma sugli scogli dell’isola di Battle Royale continua a infrangersi; e passeggiando, un insegnante e una ragazzina cercano invano di ricucire un dialogo perduto: 

cosa dovrebbe dire a questo punto l’adulto alla ragazzina?

fukasaku202-9319617

Marcella Leonardi


Titolo originale: バトル・ロワイアル(Batoru Rowaiaru); regia: Fukasaku Kenji; soggetto: da un romanzo di Takami Koushun; sceneggiatura: Fukasaku Kenta; fotografia: Yanagishima Katsumi; montaggio: Abe Hirohide; musica: Amano Masamichi; interpreti: Fujiwara Tatsuya (Shūya), Kitano Takeshi (Kitano), Maeda Aki (Noriko), Yamamoto Tarō (Shōgo), Andō Masanobu (Kazuo), Kuriyama Chiaki (Takako); produzione: Battle Royale Production Committee – Toei Company; durata: 113’; uscita nelle sale giapponesi: 16 dicembre 2000. 


Note

(1) Dichiarazione del regista, Internet Archive. Archiviata dall’originale “battleroyalethemovie.com” il 5 dicembre 2002.

CONDIVIDI ARTICOLO

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *