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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

SONATINE (id., KITANO Takeshi, 1993)

24° FAR EAST FILM FESTIVAL (Udine 22 – 30 aprile 2022)
SONATINE CLASSICS
 
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Piccolo dizionario di Sonatine
 
Murakawa, un sottocapo della yakuza, viene mandato a Okinawa con l’obiettivo di sedare una faida tra due bande rivali. Giunto a destinazione con i propri uomini, si rende conto che in realtà si tratta di una trappola ordita nei suoi confronti dal suo capo di Tokyo. Murakawa decide così di prendere la missione come una vacanza al mare, in attesa della resa dei conti finale.
 
Ascensore
La sparatoria che avviene nell’ascensore è una delle sequenze più articolate del  film (35 inquadrature per una durata complessiva di 1’32’’) sia per lo spazio ristretto e claustrofobico del luogo, che arriva a contenere ben 7 persone sia per l’alternanza degli stacchi in campo/controcampo che vanno a orchestrare un découpage serratissimo. A primeggiare sono Murakawa con 11 stacchi, molti dei quali in primo piano, e il sicario che ha ucciso Ken (anche lui 11 stacchi): il duello è tra loro due e viene innescato dall’unica battuta della sequenza pronunciata da Murakawa che chiama Takahashi dando il “là” alla sparatoria, mentre il resto dei personaggi non fa altro che ricevere i proiettili dei due. Nella sparatoria trova la morte anche Katagiri, il partner di Murakawa che così, dopo la morte di Ken, rimane ancora più solo. Particolarmente cruenta è l’uccisione di Uechi la cui mano viene devastata dal proiettile del sicario (una citazione da Taxi Driver?), quasi una micro sequenza all’interno della sequenza, girata da Kitano con grande precisione e accuratezza formale, scandita da inquadrature rapidissime che rendono il racconto per immagini estremamente fluido.   
 
Buffo
Quella del “buffo” è una “cifra” ricorrente nel cinema di Kitano a cui non sfugge anche Sonatine che presenta molte situazioni e personaggi che esprimono il senso del ridicolo. Pensiamo per esempio al sicario che si presenta a Okinawa mascherato da turista con una borsa frigo, un cappello di paglia in testa e una custodia in pelle che sembra contenere una canna da pesca. Oppure a Katagiri, continuamente preso in giro per la sua camicia. Ma è lo stesso Murakawa a incarnare il buffo, soprattutto con la sua camminata ciondolante, che è poi la camminata di Kitano in tutti i suoi film. Buffonesche sono le imitazioni di Uechi delle danzatrici, come lo sono le lotte di sumo sulla spiaggia. Sono buffi Ken e Ryoji quando fanno la doccia, è buffa la situazione del pulmino, come se fosse una classe di ragazzi che va in gita. Il buffo e il senso del ridicolo portano con sé una forma sottile di violenza, di humor nero (vedi Umorismo), di scherno e stigmatizzazione del personaggio che spesso reagisce male: è il caso di Katagiri che non ride affatto alle battute di Murakawa oppure di Ken con la lattina in testa che gioca a fare il Guglielmo Tell della situazione con Ryoji.   
 
Cerchio
Il cerchio è una figura ricorrente in Sonatine: la vediamo tracciata sulla spiaggia, poi nella luna che ritorna più volte e infine in uno degli oggetti caratteristici del film, ovvero il  frisbee. Nel primo caso è funzionale al sottotesto teatrale (vedi Teatro) del film poiché delimita uno spazio scenico all’interno dei quali i personaggi mettono in scena la pantomima dei lottatori di sumo. Nel secondo caso, quello della luna, ha una valenza simbolica legata alla dimensione notturna e, se vogliamo, un po’ “lunare” e non-sense dei personaggi, soprattutto Murakawa (Kitano/Keaton?), il cui volto impassibile sembra rimandare alla luna silenziosa di leopardiana memoria. Sul piano strettamente narrativo le tre inquadrature della luna sono degli inserti che spezzano il ritmo del film, accentuandone la sua struttura già fortemente ellittica e frammentaria. Infine il frisbee: oggetto ludico che compare per la prima volta, in campo lungo, nell’inquadratura che vede, in fila indiana, Ryoji, Ken (con in mano il frisbee), Miyuki e Murakawa, diventa protagonista della sequenza in cui viene ucciso Ken. Con una dissolvenza incrociata, Kitano mostra i fiori lanciati in aria dal sicario con il frisbee che, ruotando, solca il cielo, il tutto in ralenti e con l’improvviso stacco della musica. Incrociando i fiori è come se l’oggetto ludico diventasse un oggetto mortifero: non è un caso che la sequenza continui con Murakawa che esplode dei colpi contro il frisbee, come se facesse il tiro al piattello, e che poi Ken trovi la morte nel momento in cui si appresta a recuperare l’oggetto lanciato da Ryoji.
 
Coppia omoerotica
C’è una coppia che nel film ha una forte componente omoerotica ed è quella che si viene a formare tra Ken, il luogotenente di Murakawa, e Ryoji, uno dei ragazzi di Okinawa. Se all’inizio il rapporto tra i due è quello tipico tra un piccolo boss che proviene da Tokyo e un “apprendista” yakuza di Okinawa, in seguito diventa sempre più stretto. Kitano dedica molte scene a questa coppia che si forma e si consolida lungo tutto il film e che sembra andare oltre la semplice amicizia virile. Questa sensazione viene confermata da alcune situazioni ricorrenti tra cui la più esplicita è la battuta – benché scherzosa – che Ryoji rivolge a Ken: “Scopami caro”.  Ma anche quando fanno la doccia uno a fianco all’altro, utilizzando l’acqua piovana del temporale – che sul più bello finisce lasciandoli pieni di schiuma – oppure quando interpretano le danzatrici suonando le conchiglie. Niente di esplicito, tuttavia si coglie un legame e una complicità che la morte di Ken spezza improvvisamente. 
 
Donna
Nel cinema di Kitano il  rapporto dei personaggi con l’universo femminile è del tutto anticonvenzionale. A partire da Boiling Point, in cui Kitano interpreta forse il suo personaggio più “sgradevole”, soprattutto nei confronti della sua donna, Fumiyo, per arrivare ad Hana-bi dove, al contrario, il regista racconta con grande tenerezza e pudore il suo rapporto con la moglie Miyuki, la sua vicinanza alla donna malata di leucemia. Tra Fumiyo e Miyuki c’è la… Miyuki di Sonatine
Non è un caso che Kitano abbia scelto di mantenere lo stesso nome in Hana-bi perché la Miyuki di quest’ultimo rappresenta un’evoluzione di quella di Sonatine che a sua volta è un’evoluzione della Fumiyo di Boiling Point. La Miyuki di Sonatine è ancora una prostituta, salvata da Murakawa dalla violenza di un cliente, non senza una colpevole attesa da voyeur, come lo accusa il cliente. A parte questo, nel corso del film il rapporto tra i due si fa sempre più stretto, pur nelle dinamiche dei rapporti interpersonali messi in scena da Kitano, che sono caratterizzati da frequenti silenzi e sguardi reciproci. Tuttavia, in Sonatine, Miyuki riveste un ruolo che va al di là della semplice amante-prostituta. Con lei Murakawa è stranamente loquace, si lascia andare a confessioni personali che spesso sono anche una dichiarazione di poetica su temi universali come quello della battuta sulla morte e sul suicidio (vedi Morte). In auto Miyuki chiede a Murakawa quando abbia ucciso per la prima volta: al che lui risponde di aver ucciso suo padre – quando era ancora alle superiori – perché non lo lasciava scopare. All’affermazione della donna di essere un duro, Murakawa risponde: “Se fossi un duro non porterei la pistola… ma sono anche veloce ad avere paura”. E poi la domanda più significativa: 
“Ma della morte non hai paura?”
“Quando vivi nella paura arrivi al punto che vorresti essere morto.”
Un’altra battuta significativa è quella di Murakawa, dopo che Miyuki si è spogliata: “È divertente non avere pudore”. Altrettanto tenero è il congedo tra i due: “Ritornerai” chiede Miyuko. “Forse, chissà.” E tu ci sarai?” “Forse, chissà”. Tenera, e allo stesso tempo buffa, è invece la sequenza in cui Miyuki “spara” i fuochi d’artificio (un ideale gancio ad Hana-bi) e poi camminando finisce dentro a una delle buche scavate sulla spiaggia da Murakawa. E poi la sequenza finale del suicidio: qui Kitano dedica molti stacchi e primi piani a Miyuki, a sancire il legame tra i due ma anche l’impossibilità per Murakawa di portare avanti quella storia d’amore: “E tu ci sarai?” “Forse, chissà”.
 
Elegia
Elegiaco è forse uno degli aggettivi più utilizzati per definire il cinema di Kitano, in particolare per Sonatine e Hana-bi. Il tono elegiaco è improntato alla malinconia e allo struggimento esistenziale, alla consapevolezza di una condizione di infelicità che, nel caso di Sonatine, sembra non avere vie d’uscita se non nel porre fine alla propria vita. Una parte fondamentale nel suggerire questo mood è dovuta naturalmente alla colonna sonora di Hisaishi che sa toccare le corde più intime regalando momenti di malinconia che sono diventati la cifra stilistica del cinema di Kitano. Ma c’è un altro elemento, sul piano visivo, che concorre prepotentemente a trasmettere questo sentimento elegiaco: i primi piani di Murakawa. La fissità dello sguardo del protagonista, la sua apparente impassibilità di fronte agli eventi, anziché risultare neutra si carica di una forte componente emozionale che si traduce in una sottile inquietudine, in una ineluttabile accettazione dello “stato delle cose”. Prendiamo per esempio lo sguardo che Murakawa rivolge ai tre ragazzi nel locale, prima della sparatoria: nei suoi occhi c’è una vicinanza emotiva ai discorsi innocenti dei tre ragazzi. È come se egli si rendesse conto che quell’innocenza, irrimediabilmente perduta, non gli appartenga, anzi, non gli sia mai appartenuta. Oppure il primo piano all’interno del pulmino che a Okinawa trasporta il gruppo, come se fosse una brigata di studentelli in gita. Anche durante la scena della seduzione da parte della prostituta Miyuki c’è un primissimo piano di Murakawa che non ha nulla di erotico ma è denso di malinconia. Ma il più struggente è il primo piano successivo alla morte di Ken: anziché esprimere rabbia o risentimento per la sua uccisione, è ancora uno sguardo velato di malinconia. E poi lo sguardo mentre Miyuki spara, uno sguardo che “contagia” anche quello della ragazza che da adesso sino alla fine manterrà pressoché sempre questa espressione. E, infine, l’ultimo primo piano, nell’auto, che termina con il suicidio.   
 
Fuoco
Molti registi sono identificati per un loro legame particolare per i 4 elementi, si pensi all’acqua per Tarkovskij oppure al vento in Fellini (straordinaria la sequenza degli affreschi in Roma, spazzati via dal vento). Per Kitano potremmo azzardare un accostamento con il fuoco, se si esclude l’acqua del mare, altro elemento ricorrente in molto suo cinema (vedi Ossessioni). Il fuoco e i lampi delle sparatorie (l’ultima ripresa dall’esterno è un unico susseguirsi di lampi) sono certamente la prima associazione a cui possiamo pensare a cui si aggiungono gli incendi delle auto come quello in cui trova la morte Takahashi. Ma in Sonatine il fuoco si associa principalmente ai fuochi di artificio a cui il regista dedica un’ampia sequenza che rientra sempre nella dimensione ludica del film. Questa sequenza ha una componente onirica molto forte, sia per la sua dimensione notturna, con l’inserto della luna che rimarca questo aspetto sognante, sia perché da un punto di vista narrativo è totalmente decontestualizzata dal concatenarsi degli eventi, situazione certamente non anomala nel cinema di Kitano. La sequenza, infatti, è inserita tra l’arrivo del sicario a Okinawa e l’uccisione sulla spiaggia di Ken, eventi che sono legati tra loro da un punto di vista temporale. È come se Kitano volesse allontanare la minaccia rappresentata dal sicario intervenendo apertamente sull’intreccio a scapito della fabula, inserendo un momento giocoso, sognante, infantile, all’interno di una sequenza che è portatrice di morte. 
 
    
Gioco
“Giochiamo.” 
“A cosa signore?”
“A morra cinese”
“Non ti va di giocare?”
In Sonatine c’è una forte componente ludica che fa da contrappunto al côté drammatico del film. Il gioco si manifesta in numerose scene: a volte sono semplici scherzi camerateschi, altre volte si tinge di nero e di macabro come nel caso della roulette russa, forse la quintessenza del gioco che sfida sfacciatamente la morte. In alcune situazioni è il personaggio di Uechi, il capo che a Okinawa, assieme a  Ryoji, accoglie il gruppo di Murakawa, a calarsi nei panni dell’entertainment imitando goffamente le danzatrici. Ma è Murakawa stesso a incarnare la figura del “burlone”, vuoi in maniera sadica, come nella già ricordata roulette russa oppure in quella dell’annegamento, vuoi in maniera innocente e fanciullesca come per esempio nella scena delle buche sulla spiaggia, vuoi in maniera intelligente e anche molto divertente, nella scena dei lottatori di sumo. E poi le continue prese in giro nei confronti di Katagiri per le sue ridicole camice hawaiane (“Ti piacciono le camice da imbecille?”), il gioco del frisbee, la battaglia notturna con i fuochi d’artificio. Ma qual è la funzione del gioco nel film? Vincere la noia dell’immobilismo forzato su Okinawa dove, praticamente, non succede nulla e la missione per cui sono stati mandati si rivela essere una trappola? Oppure ignorare la morte, come sembra suggerire la sequenza successiva all’uccisione di Ken, in cui Murakawa continua a giocare con il frisbee come se non fosse successo nulla?   
 
Hisaishi
Collaboratore abituale per diversi film, da Il silenzio sul mare fino a Dolls, Joe Hisaishi ha un ruolo importante nel cinema di Kitano entrando nel novero delle grandi coppie regista-musicista del cinema. Sarebbe difficile infatti pensare a Sonatine, Hana-bi, Kikujiro senza l’inconfondibile musica di Hisaishi. Nella colonna sonora di Sonatine svetta il motivo martellante che si intitola, significativamente, Act of Violence, sin dal prologo del pesce trafitto, per poi ritornare dopo circa 30 minuti, in seguito alla prima sparatoria, quindi dopo circa un’ora, durante il dialogo tra Murakawa e Miyuki e infine durante la sparatoria finale per interrompersi bruscamente con lo sparo del suicidio.
 
Jump cut
Kitano, oltre alla regia e sceneggiatura, firma anche il montaggio di tutti i suoi film, escluso Violent Cop mentre in Boiling Point non è accreditato. A rigor di logica, se intendiamo il jump cut come ellisse temporale all’interno di una sequenza in cui il punto di vista dell’inquadratura rimane invariato (l’ellisse temporale avviene quindi mantenendo il raccordo sull’asse), nel cinema di Kitano non è molto frequente. La sequenza in cui il jump cut è marcatamente presente è quella di Boiling Point ambientata su una spiaggia di Okinawa in cui i protagonisti giocano a baseball con una pallina, sequenza gemella, potremmo dire, di quella del frisbee (la pallina ha addirittura lo stesso colore arancione del frisbee). In questa sequenza Kitano gioca con il linguaggio, un po’ alla Godard, mostrando in modo sfacciato il falso raccordo. In Sonatine non sono presenti falsi raccordi sull’asse, rispetto a Boiling Point – che a nostro avviso è il film seminale di Kitano, molto più di Violent Cop – il linguaggio è più maturo: anche nelle scene dove potrebbe prendersi una maggior libertà, il découpage rimane entro certi limiti dell’articolazione, non diciamo classica, ma sicuramente meno disturbante. Prendiamo come esempio la sequenza all’interno del locale (23 inquadrature per una durata di 2’35’’). Se si esclude quel raccordo di posizione anomalo (vedi Sparatorie) il montaggio presenta alcuni raccordi in asse che sono assolutamente rispettosi dell’articolazione tra le inquadrature: certo, il découpage è frenetico, le inquadrature sono rapide, ma i campi/controcampi non violano nessuna delle regole canoniche. Inoltre a far da contrappunto alla violenza della sparatoria ci sono i 3 stacchi dei ragazzi che danno alla sequenza una sorta di equilibrio interno, assieme ai primi piani del volto impassibile e malinconico di Murakawa, a conferma di quel tono elegiaco di cui abbiamo parlato (vedi Elegia). 
  
Lirismo
Accanto a elegia, lirismo è un’altra categoria espressiva molto utilizzata per connotare il cinema di Kitano, soprattutto sul versante della violenza. Ma nel concreto che cosa significa lirismo legato alla violenza? Potremmo definirlo come un compiacimento formale ed espressivo in cui, la soggettività dell’autore, sublima l’assunto negativo della violenza per trasformarlo in qualcosa che commuove rendendola esteticamente rilevante. Sono diversi i registi che hanno fatto del lirismo della violenza una loro cifra stilistica, pensiamo a Sam Peckinpah, John Woo, Nicolas Winding Refn… Ovviamente come tutte le forme espressive anche il lirismo si avvale di codici della messinscena che ogni cineasta utilizza al meglio, dal ralenti all’utilizzo della colonna sonora. Per Kitano il discorso ci sembra un po’ diverso: pur utilizzando  il ralenti, il regista non ne fa una “figura retorica” strettamente legata alla violenza, anzi molte scene, paradossalmente, perderebbero di lirismo se fossero artificialmente rallentate. A nostro avviso il lirismo della violenza va ricercato piuttosto nel montaggio, da un lato, e nell’impassibilità del personaggio protagonista. In Sonatine la morte di Ken ha una straordinaria connotazione lirica. C’è infatti un compiacimento formale dovuto a una sorta di crescendo narrativo che il montaggio articola sapientemente: l’arrivo del sicario a Okinawa, i suoi ripetuti sguardi inespressivi, il suo incedere lento e inesorabile verso la spiaggia, il suo punto di vista su Murakawa, Ken e Ryoji che giocano con il frisbee ignari del pericolo che si avvicina. Poi il bellissimo “montaggio delle attrazioni” quando lancia per aria i fiori (vedi Cerchio) quasi una preparazione rituale della violenza che avverrà a breve. Ken corre letteralmente incontro alla morte: qui Kitano dimostra ancora una volta la sua maestria nella messinscena attraverso montaggio con una serie di campo/controcampo che chiamano in causa il sicario, Ken e la coppia Murakawa-Miyuko, seduti appoggiati a una barca. Ma ciò che stupisce è ancora una volta lo sguardo imperturbabile dei personaggi che da una lato destrutturano il climax della sequenza e dall’altro relativizzano la morte: non ci sono urla, reazioni scomposte, sguardi rabbiosi, ma solo la commozione che scaturisce nella consapevolezza che non c’è nulla che si possa fare per salvare Ken, se non continuare a giocare, in solitaria presenza, sulla spiaggia. 
  
Miniature
C’è una scena che, in modo del tutto involontario crediamo, sembra rimandare a quella celebre di Shining quando Jack Torrance osserva il modellino del labirinto riprodotto all’interno dell’Overlook Hotel. Lentamente, dalla soggettiva di Jack che guarda il modellino, Kubrick opera uno slittamento impercettibile del punto di vista che ci porta dall’interno all’esterno nel vero labirinto, dallo sguardo soggettivo a quello oggettivo. Ora, nulla di tutto questo in Sonatine, per quanto concerne lo slittamento del punto di vista, ma la riproduzione dei piccoli lottatori di sumo che fanno il pari con quelli reali ci ha fatto pensare a questa suggestione, con la differenza che in Kitano passiamo dalle miniature dei lottatori ai personaggi sulla spiaggia, mentre in Kubrick le miniature sono il piccolo Danny e Wendy che sembrano correre nel modellino del labirinto.
 
Morte
“Se non hai paura di uccidere gli altri non hai paura di uccidere te stesso”. In Sonatine c’è una ricerca continua e ostinata della morte, sia della propria sia di quella altrui. Si va dal compiacimento del piccolo boss che viene annegato quasi per gioco, alla roulette russa fino alle numerose sparatorie, per terminare con il suicidio di Murakawa. Anche durante la battaglia dei fuochi d’artificio Murakawa, con un  sadico ghigno, si mette improvvisamente a sparare violando così le regole del gioco. In Kitano la morte non è caducità o rassegnazione davanti agli eventi: è una condizione da raggiungere, come la vulgata, alimentata dallo stesso Kitano, che vuole il suo incidente in moto come una sorta di suicidio semivolontario. Boiling Point, Sonatine e Hana-bi terminano tutti con un suicidio, anzi il primo e l’ultimo con un omicidio-suicidio. Non solo, ma in tutti e tre è presente la donna che, escluso Sonatine, ne condivide il destino come unica via di uscita possibile, come completamento della vita: “Credo che chi sia ossessionato dalla morte abbia di conseguenza lo stesso atteggiamento anche per la vita.” (Kitano Takeshi)
 
Nouvelle Vague
In diverse interviste Kitano ha dichiarato la sua ammirazione per il cinema di Godard e per Fellini ma nello stesso tempo, con il suo gusto per il paradosso, confessa di non capirli, di trovarli troppo complicati rispetto ai suoi film per i quali “non serve nessun sforzo, non c’è niente da capire, niente da spiegare. Quello che voglio è solo che la gente si diverta. O che si annoi o che si senta frastornata. Annusateli, lasciatevi andare: è solo un film.”. Questa dichiarazione è illuminante perché oltre a decretare l’approccio decisamente ludico del suo cinema, lontano da ogni possibile intellettualismo, sottolinea tre aspetti che sono intimamente legati al suo cinema: il divertissement (Pascal parlava del divertimento come modalità dell’uomo di fuga dai problemi esistenziali); la noia e il frastorno. Sul divertimento abbiamo già ampiamente trattato (vedi Buffo e Gioco); la noia è un’emozione molto presente nel suo cinema, i personaggi di Kitano vivono una noia esistenziale che a volte sembra essere apatia (resta da capire se questa noia travalichi lo schermo e diventi un sentimento dello spettatore, un po’ come quello del Bruno de Il sorpasso a proposito di Antonioni). Ma ciò che a nostro avviso si sposa meglio con l’estetica della nouvelle vague è il frastorno inteso come libertà narrativa che spesso mette a dura prova lo spettatore che viene, per così dire, sballottato tra inserti e soluzioni di montaggio ardite, pause prolungate, sguardi in camera ed ellissi, tutte soluzioni che in Sonatine sono ampiamente presenti (vedi Jump Cut e Sparatorie) seppur non come in Boiling Point o Hana-bi.
 
Ossessioni: il mare
Tra le ossessioni di Kitano, spesso connotate in senso negativo come la morte o il nichilismo, ve ne è una che ricorre in molti suoi film: il mare. Oltre ad aver dedicato il titolo di un suo bellissimo film, Il silenzio sul mare, questo elemento è una presenza costante che permette a Kitano di “staccare” dal côtè urbano della yakuza. Lo spazio del mare rappresenta per i personaggi di Kitano quasi un luogo sacro, uno spazio rituale destinato alla purificazione in attesa della morte. Lo è in Hana-bi, sia per Horibe, costretto sulla sedia a rotelle che trova nel mare e nella pittura una via di fuga alla sua condizione, sia per la Miyuki e Nishi che pongono fine alla propria vita sulla spiaggia davanti al mare, mentre una bambina, simbolo dell’innocenza, gioca con un aquilone. È significativo che in questo film l’unica battuta di dialogo di Miyuki avvenga proprio davanti al mare e che Nishi la abbracci, situazione probabilmente più unica che rara in tutto il cinema di Kitano. In Sonatine il mare è protagonista di gran parte del film, anzi si può dire che Sonatine sia uno yakuza eiga on the beach. La maggior parte del film si svolge infatti a Okinawa, in una baracca destinata a dormitorio in riva al mare. È lì che si svolge la vacanza forzata di Murakawa e dei suoi accoliti ed è lì che decide di porre fine alla propria vita.
  
Posso sparare?
Che cosa sarebbe la maggior parte del cinema di Kitano senza le armi da fuoco? A farla da padrone sono ovviamente le pistole, da Violent Cop a Outrage, spesso armi automatiche come quelle che utilizza in tutte le sparatorie di Sonatine fino al suo suicidio finale. In questo film fanno eccezione il revolver della celebre scena sulla spiaggia e il fucile mitragliatore utilizzato per la resa dei conti finali. Ma il revolver viene usato anche dal sicario per uccidere Ken; e poi nella sparatoria al bar diversi gangster sparano con un revolver; nell’ascensore Murakawa ha un’arma automatica mentre il sicario ben due revolver. Il fucile mitragliatore è protagonista di una scena che, per l’ennesima volta, dimostra la straordinaria capacità di Kitano di suscitare emozioni contrastanti e repentine nel volgere di pochi istanti. Ci riferiamo alla scena del congedo tra Murakawa e Miyuki (vedi Donna) in cui entrambi si danno un ipotetico appuntamento per il futuro (“E tu ci sarai?”; “Forse, chissà”). È un momento di malinconia mista a una blanda speranza di re-incontrarsi: per tutta risposta Miyuki domanda a Murakawa se può sparare. Kitano organizza la sequenza frammentandola attraverso l’inserimento di tre primi piani con sguardo in macchina – due di Murakawa, assolutamente impassibile, e uno di Miyuki – che deconstestualizzano fortemente il significato della scena conferendo a questo addio un lirismo che nessun abbraccio o bacio d’addio potrebbe eguagliare. 
  
Quadro
Quadro inteso come pittura, passione che Kitano ha scoperto dopo l’incidente e che ha trasfuso a piene mani in Hana-bi. I dipinti e l’atto di dipingere diventano elementi narrativi che pervadono lo schermo attraverso micro-sequenze di grande suggestione formale in cui a volte il sangue e il colore rosso diventano una cosa sola (“Non è sangue, è rosso” direbbe Godard). Quadro inteso come cadre ovvero composizione dello spazio filmico e degli elementi che ne fanno parte all’interno della cornice che delimita il fuoricampo. In Sonatine questa composizione risponde a criteri di fissità e staticità della macchina da presa che accentuano la bidimensionalità dell’immagine. I quadri d’insieme in campo medio che ritraggono Murakawa e i suoi compagni con lo sguardo fisso in macchina, i campi lunghi come quello della camminata in fila indiana sulla spiaggia e i primi piani dei volti ne sono un esempio. Sembra che tutto si fermi sulla superficie dell’immagine, non pare esserci profondità nello spazio filmico, semmai lontananza dello sguardo nei campi lunghi o viceversa saturazione nel caso dei primi piani. La profondità viene delegata al fuori campo come nella sequenza dell’uccisione di Ken organizzata magistralmente sul fuori campo intradiegetico e quello diegetico – “proibito” secondo Noël Burch – che sta al di qua della macchina da presa: nel primo caso è la barca che nasconde il killer e sulla quale sono appoggiati, sul lato opposto, Murakawa e Miyuki; nel secondo caso è lo sguardo atterrito di Ken che attiva il controcampo dove lo aspetta il sicario.          
 
Resa
Per Murakawa – ma in genere per la maggior parte dei personaggi di Kitano – non c’è resa. Sappiamo quanto sia estraneo e disonorevole per la cultura giapponese il concetto di resa, per la quale è preferibile piuttosto il suicidio. Ovviamente i suicidi nelle opere di Kitano non muovono da un concetto classico di resa di fronte a un nemico: è semmai la consapevolezza della fine di un cammino che non sembra lasciare alternative. La resa, allora, è nei confronti dell’esistenza stessa, un atto tragico contro la noia e la stanchezza, un ritirarsi dal mondo in punta di piedi, osservando il silenzio del mare. 
 
Sparatorie
Anche le sparatorie sono come decontestualizzate: Kitano opera una sorta di congelamento delle emozioni, un anticlimax che disorienta e spiazza. In Sonatine questa situazione è evidente nella prima sparatoria a cui assistiamo all’interno del locale dove si recano gli uomini di Murakawa. Come prima cosa Kitano sposta l’attenzione su tre ragazzi che entrano nel locale e vanno a sedersi non molto distanti dal gruppo di Murakawa. Lo sguardo in soggettiva prolungato di quest’ultimo sembra far pensare a una minaccia da parte dei tre, minaccia che pare confermata dal controcampo in cui il cameriere, che sta portando da bere a Murakawa, viene colpito più volte. In realtà i colpi non sono esplosi dai tre ragazzi benché la traiettoria dei proiettili provenga dalla loro direzione: i sicari sono collocati dal lato opposto e quindi secondo la logica del raccordo di posizione non avrebbero potuto colpire il cameriere. Un ulteriore sguardo di Murakawa innesca la sparatoria vera e propria che avviene con il consueto “understatement” alla Kitano: personaggi immobili con il braccio teso intenti a sparare senza curarsi minimamente di schivare i colpi, anzi, sfidando quasi la morte mentre la musica di sottofondo, coperta dagli spari, continua aumentando ancora di più il senso di irrealtà.  
 
Sogno
La sequenza del sogno, legata alla roulette russa, sembra ribaltata di senso. È come se il sogno fosse realtà e viceversa: in spiaggia, infatti, la pistola avrebbe dovuto sparare perché Murakawa lascia un colpo nel tamburo del revolver e quel colpo è destinato a lui. In realtà poi il tutto si rivela essere uno scherzo di Murakawa che precedentemente aveva tolto tutti i proiettili, a insaputa di Ken e Ryoji. Il sogno non fa che ribadire ciò che la realtà del cinema ha camuffato con un banale trucco: giocare con la morte.  
 
Teatro
Sonatine ha un legame molto marcato con il teatro. Niente di strano, ovviamente, se pensiamo al background di Beat Takeshi, star della comicità manzai prima di approdare al grande schermo (pensiamo a Dolls e al bunraku, il teatro dei burattini). Tuttavia in questo film le situazioni smaccatamente teatrali sono davvero molte, favorite anche dalla “vacanza” forzata a Okinawa del gruppo di Murakawa che, per far passare il tempo, sembra costretto a inventarsi dei giochi di ruolo da interpretare. Lo stesso cerchio sulla spiaggia funge da spazio teatrale essenziale, “minimalista”, all’interno del quale in personaggi interpretano i lottatori. Teatro, personaggi, costumi, ruoli: i personaggi di Sonatine, soprattutto nella parte ambientata a Okinawa, si spogliano letteralmente dei loro costumi per indossarne altri, “l’uniforme” dello yakuza sulla spiaggia non ha più il suo valore simbolico perché viene meno anche il rigido codice urbano che prevede ovviamente anche nell’abito un segno tangibile di appartenenza. Ecco quindi le camice variopinte, i pantaloncini corti (c’è una scena emblematica in cui Ken e Ryoji rovistano una cesta piena di abiti come due “signore” davanti a una bancarella del mercato), la camicia bianca di Murakawa fuori dai pantaloni. Se i ruoli cambiano, mutano anche situazioni: la roulette russa diventa un sadico gioco che alla fine si rivela innocuo ma che, a nostra insaputa, rappresenta un momento di grande tensione drammaturgica, una prova teatrale del sogno (vedi Sogno). Un aspetto che a nostro avviso, seppur indirettamente, rimanda al teatro è la disposizione dei personaggi in gruppo: spesso i personaggi sono immobili, disposti su due o tre file, oppure seduti a un tavolo mentre rivolgono lo sguardo fisso in camera in attesa di un controcampo. Questa composizione scenica ha molto del palcoscenico teatrale, ma nel senso opposto, ovvero non siamo noi spettatori a guardare loro ma sono essi stessi a incarnare il ruolo di spettatori che ci fissano come in attesa di una nostra reazione.  
 
Umorismo
Accanto alle situazioni buffe e clownesche (“il clown con la pistola” è stato definito da un critico) nel cinema di Kitano l’umorismo nero “serpeggia” in modo costante facendo da contrappunto a quella che è l’altro lato della medaglia Beat Takeshi ovvero la malinconia. Ambedue veicolati attraverso lo sguardo – impassibile e imperturbabile (“Voi giapponesi siete imperturbabili!” dice un personaggio ad Aniki in Brother) in un caso, ghignante e strafottente nell’altro, accentuato da quella particolare asimmetria del volto dopo l’incidente – l’umorismo nero si lega a sua volta alla violenza, anzi potremmo dire che è la prosecuzione della violenza con altri mezzi. In Sonatine sono diverse le scene connotate da uno humor nero: il pestaggio in bagno di Takahashi mentre all’esterno un cliente, sorvegliato dallo sguardo di Ken, attende di entrarvi con una salvietta arrotolata in mano; la scena dell’affogamento dove il contrasto tra l’assoluta nonchalance di Murakawa che chiede quanto possa resistere sottacqua e l’imminente morte del piccolo boss (“L’abbiamo ammazzato… beh non importa. Fatelo sparire”) sembra dimostrare quell’avvertimento del contrario (contrapposto al sentimento del contrario) di cui parla Pirandello. Ma probabilmente all’umorismo di Kitano si addice meglio la definizione che ne dà Bergson come castigo sociale. Il massimo grado di umorismo nero coincide ovviamente con la roulette russa dove l’umorismo si tinge di tragico, accarezzando pericolosamente la morte.
  
Velocità
Bisogna porre una certa attenzione, ma la scena in cui Ken e Ryoji saltellano nel cerchio di sabbia, mentre Murakawa, Miyuki e Uechi battono con i palmi delle mani per terra, è accelerata, come in una comica di Larry Semon-Ridolini. Non si può dire che il cinema di Kitano, in generale, abbia fatto della velocità, nel senso di frenesia degli avvenimenti (non ci sono inseguimenti a rotta di collo) una sua costante. Eppure spesso il termine velocità ricorre a proposito del suo cinema. È una velocità però funzionale al linguaggio della messinscena: ciò che ci fa sembrare il suo cinema così veloce è il montaggio che opera delle ellissi nel racconto, “comprimendo” il tempo e riducendo le distanze. 
 
Zatoichi
Ovvero samurai come il personaggio che Kitano interpreta nell’unico film in costume da lui girato, Zatoichi. Ovviamente l’intento parodico di Kitano è evidente, tuttavia possiamo provare a chiederci se ci siano dei punti di contatto tra l’etica dei samurai e quella di molti personaggi dei suoi film. Senza scomodare il bushido, possiamo annoverare certamente il coraggio e l’onore (Murakawa non teme di affrontare da solo, nel finale, tutta la banda nemica), il senso di giustizia e la compassione (a modo suo egli ha coscienza di ciò che è giusto o sbagliato come per esempio nella scena del tentato stupro di Miyuki), la completa sincerità ovvero, parlare e agire nello stesso momento (le reazioni istintive di Murakawa sono proprio il frutto di una totale mancanza di doppi fini). Diciamo che egli è anche il contrario di tutto questo: l’annegamento del piccolo boss non gli fa certo onore, il mentire sui proiettili nella pistola, quell’apatia imperturbabile che è il contrario della compassione. Forse la definizione migliore è quella di un critico che lo ha descritto come un samurai postmoderno che si muove tra gangster e situazioni pulp. 
 
Valerio Costanzia
 
 
Titolo originale: ソナチネ (Sonatine); regia, sceneggiatura e montaggio: Kitano Takeshi; fotografia: Katsumi Yanagijima; scenografia: Shibata Hirohide; musica: Hisaishi Joe; interpreti: Kitano Takeshi (Murakawa), Kokumai Aya (Miyuki), Watanabe Tetsu (Uechi), Katsumura Masanobu (Ryoji), Terajima Susumu (Ken), Osugi Ren (Katagiri), Yajima Ken’ichi (Takahashi); produzione: Bandai Visual Company, Shochiku, Yamada Right Vision Corporation; durata: 93’; uscita in Giappone: 5 giugno 1993.
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