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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

TALKING THE PICTURES (Katsuben!, SUO Masayuki, 2019)

22° NIPPON CONNECTION (Francoforte, 24-29 maggio 2022)

“Un tempo i film erano muti ma in Giappone non lo sono mai stati davvero, perché abbiamo sempre avuto la guida dei benshi.” Con queste parole del celebre regista Inagaki Hiroshi (1905-1980) si chiudono i titoli di coda di Talking the Pictures, ottavo film per il cinema di Suo Masayuki, già celebre negli anni Novanta per pellicole di culto come Sumo Do, Sumo Don’t (1992) e Shall We Dance? (1996). Suo, con questo film, si inserisce in quel filone di pellicole che rappresentano il mondo del cinema del passato in chiave filologica e nostalgica, rievocandone i riti e sottolineando il ruolo vitale che la settima arte rivestiva nel Novecento. Si pensi a Nuovo Cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore o, più recentemente, al bellissimo One Second (2020) di Zhang Yimou, entrambe pellicole che, pur con toni differenti, rappresentano il cinema come forma d’arte e d’intrattenimento totalizzante, oggetto di culto quotidiano, ammaliatore delle masse. In Talking the Pictures, in particolare, viene messa a tema la figura del benshi, il tradizionale commentatore che, nei primi decenni del Novecento, in Giappone, aveva il compito di fornire al pubblico una narrazione orale durante le proiezioni dei film muti.

Il film inizia nel 1915, quando il piccolo Shuntaro e la sua amica Umeko, affascinati dal cinema, si intrufolano sui set del grande regista Makino Shōzō ed entrano di nascosto nei cinematografi, dove restano incantati di fronte alle pellicole mute, narrate in modo appassionante dal benshi Yamaoka Shusei. Shuntaro, in particolare, sogna di intraprendere proprio quella professione e, dieci anni dopo, è membro di una banda di lestofanti che organizza proiezioni cinematografiche in cui il giovane imita lo stile benshi del suo mito Yamaoka, mentre i suoi complici rapinano le case degli spettatori accorsi a vedere lo spettacolo. Sulle tracce della banda si mette ben presto il detective cinefilo Kimura, pronto a tutto pur di punire chi “disonora i film”. Shuntaro, nel frattempo, riesce a trovare un vero impiego come benshi presso il cinema Aoki, dove ritrova anche l’amata Umeko, divenuta attrice con il nome di Sawai Matsuko, e il leggendario Yamaoka, ridotto a ubriacone. Pronto a tutto pur di realizzare il proprio sogno d’infanzia di diventare un grande benshi, Shuntaro rimane coinvolto in una lotta all’ultimo film con gli scagnozzi del cinema rivale Tachibana.
Suo Masayuki omaggia la straordinaria arte del benshi – estranea al contesto occidentale, ma all’epoca diffusa anche in altri paesi asiatici (i pyonsa coreani e i piansu di Taiwan erano figure analoghe) – e mostra come all’epoca la performance di questo narratore-doppiatore risultasse quasi più significativa e apprezzata delle pellicole stesse: “serve un buon benshi per rendere divertente un film noioso”, afferma a un certo punto il regista Futagawa Buntarō. L’aspetto che maggiormente affascina il protagonista Shuntaro, innamorato di questa professione, è proprio che il benshi sia in grado di attribuire un senso alle pellicole e agli eventi in esse mostrati e, conseguentemente, di emozionare il pubblico, evocando il riso o le lacrime, per poi suscitare scroscianti applausi al termine dello spettacolo. Shuntaro intende dunque la figura del benshi in senso demiurgico, come modellatore del cinema (in una sequenza arriva addirittura a fondere insieme una serie di pellicole danneggiate, per trarne una storia di senso compiuto di propria invenzione) e, conseguentemente, della realtà: Talking the Pictures mette in scena un mondo in cui la settima arte, intesa come esperienza condivisa da viversi nel buio dei cinematografi, costituiva un elemento fondamentale nella vita quotidiana delle persone e il benshi, dunque, non aiutava solo il pubblico a comprendere i film, bensì dava loro codici interpretativi rispetto alla realtà stessa. Da questo punto di vista è significativo il dialogo tra Shuntaro e il suo maestro spirituale Yamaoka, a lungo idealizzato e poi riscoperto come uomo sfiduciato, che affoga nell’alcol la consapevolezza del tramonto imminente della professione del benshi, destinata a soccombere di fronte ai film sonori, completi in se stessi. Yamaoka fa comprendere al giovane come a poco serva, nella loro arte, imitare i grandi maestri nelle proprie performance: ogni benshi deve trovare la propria voce, che corrisponda a una propria visione del cinema e del mondo. Ed è così che Shuntaro – utilizzando lo pseudonimo Kunisada Tensei, ispirato al leggendario yakuza Kunisada Chūji, sorta di Robin Hood nipponico vissuto nell’Ottocento – porta al pubblico un intrattenimento popolare appassionante e divertente che, tramite il racconto cinematografico di avventure picaresche e romantiche storie d’amore, diviene quasi una metafora della sua stessa storia, di cui noi spettatori siamo testimoni.
Suo realizza una scoppiettante commedia di profondo amore per il cinema e omaggia il periodo muto con sequenze dalla deliziosa comicità slapstick: si pensi solo all’inseguimento iniziale di Shuntaro e Umeko da parte del detective Kimura e alla scena in cui il protagonista e il vanitoso benshi Mogi si sfidano attraverso una cassettiera, ma anche alla lotta di Shuntaro contro il ciclopico scagnozzo dei Tachibana per liberare la sua amata e alla pirotecnica rissa nel prefinale. La ricostruzione dei primi decenni del Novecento, inoltre, colpisce per dettaglio e ricchezza figurativa, a cui si legano la bella colonna sonora, con largo impiego del pianoforte per sottolineare il legame con il cinema muto, e le scelte di montaggio, che sfrutta anche transizioni diffuse nel cinema delle origini, quali la tendina orizzontale e l’iris. Suo e il suo sceneggiatore Katashima Shōzō, inoltre, danno vita a una galleria di personaggi ben assortita e varia per tono (chiaramente debitrice verso lo splendido cast di interpreti): l’allegro mascalzone Shuntaro, la tenera innamorata Umeko, il costantemente angosciato signor Aoki, il severo detective Kimura, il disilluso Yamaoka, il cattivissimo Yasuda, il costantemente accaldato benshi Naito, la sensuale femme fatale Tachibana Kotoe e l’allegro proiezionista Hamamoto finiscono per costituire un universo narrativo in cui è piacevole trascorrere le due ore della visione. Il film, poi, appassiona anche per la grande capacità di variare generi e toni della narrazione: se per la maggior parte del tempo la pellicola ha i caratteri della commedia, non mancano sequenze autenticamente romantiche ed emozionanti (come quella in cui Shuntaro e Umeko vengono travolti dal fascio di luce di un proiettore cinematografico e paiono divenire parte di un film) o persino inaspettatamente tragiche e malinconiche. Talking the Pictures sa commuovere e suscitare il riso, omaggia la settima arte e restituisce al mondo una testimonianza dell’altissima professionalità dei benshi, che diedero voce al cinema giapponese delle origini, riflettendo in esso i sentimenti di un popolo intero.

Jacopo Barbero


Titolo originale: カツベン! (Katsuben!); regia: Suo Masayuki; sceneggiatura: Katashima Shōzō; fotografia: Fujisawa Jun’ichi; musica: Suo Yoshikazu; scenografia: Isoda Norihiro; interpreti: Narita Ryō (Someya Shuntaro), Kuroshima Yuina (Kurihara Umeko), Nagase Masatoshi (Yamaoka Shusei), Otoo Takuma (Yasuda Torao), Kōra Kengo (Mogi Takayuki), Takenouchi Yutaka (detective Kimura Tadayoshi), Songha (Hamamoto Hirosuke), Takenata Naoto (Aoki Tomio), Watanabe Eri (Aoki Toyoko), Inoue Mao (Tachibana Kotoe), Ikematsu Sōsuke (Futagawa Buntarō), Kohinata Fumiyo (Tachibana Shigezo), Morita Kanro (Naito Shiro), Yamamoto Koji (Makino Shōzō); produzione: Altamira Pictures Inc., Asahi Shimbun, Dentsu, Kinoshita Group, Sony Music Entertainment, TV Asahi, Toei Company; durata: 126’; anno di produzione: 2019; uscita in Giappone: 13 dicembre 2019.
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