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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

SCATTERED CLOUDS (Midaregumo, NARUSE Mikio, 1967)

SONATINE CLASSICS 
SFUMATURE DI GRIGIO: IL CINEMA DI NARUSE MIKIO
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Una tragedia unisce indissolubilmente due destini: Shiro uccide accidentalmente il marito di Yumiko in un incidente d’auto, alla vigilia della loro partenza per gli Stati Uniti. Precipitati in un limbo emotivo e sospinti ai margini della società, i due si avvicinano fino a innamorarsi, ma lo spettro del trauma grava sul loro amore attraverso prove senza fine.
Con Scattered Clouds, girato nel 1967, Naruse chiude una filmografia stupefacente che comprende 89 film. Durante la lavorazione il regista è già consapevole di essere malato (morirà a Tokyo due anni dopo) e forse proprio per questo sul film pesano una coltre di morte e uno stato d’animo oscillante tra pura elegia e muta disperazione. Ma se la visione del mondo del regista si fa ancora più cupa, portando alle estreme conseguenze la tristezza limpida di Hayashi Fumiko, la scrittrice che più lo ha ispirato, la sua ricerca stilistica si rinnova in forme ancor più vibranti e moderne. L’uso del colore e il formato del Cinemascope sono le coordinate di un’immagine libera, dalle linee pulite e di grande forza cromatica, in cui la disposizione degli elementi ha valore significante; mentre al fluire naturale del montaggio il regista affida il “movimento” drammatico e il mistero del vivere. Scattered Clouds esemplifica la perfetta definizione di Kurosawa a proposito dello stile di Naruse: “Il flusso è così magnifico che le giunzioni sono invisibili. . . come un fiume profondo con una superficie tranquilla che nasconde sotto una corrente impetuosa”.
 
Se le sue opere più celebri appartengono agli anni ’50, è necessaria una riscoperta della sua filmografia degli anni ’60, particolarmente sensibile alle nuove istanze del cinema internazionale. Naruse accoglie suggestioni differenti, fuoriuscendo dal perimetro dei propri codici: non solo è influenzato dalla nouvelle vague europea, ma si appassiona in particolare allo stile hitchcockiano, alla sua suspence stilizzata, a un’astrazione in cui sublimare la pulsione di morte. Scattered Clouds è un film formalmente controllatissimo, con una struttura circolare senza sbavature, dialoghi scarni e immagini che si imprimono nell’inconscio. I temi cari a Naruse ritornano nel quadro di una modernità e di una società apparentemente pacificata, che nella sua ansia di ricostruzione deve fare ancora i conti con il passato e i suoi fantasmi. 
 
Come gli amanti di Floating Clouds vagavano nel limbo di distruzione del dopoguerra, i protagonisti di Scattered Clouds assistono attoniti alla nascita di un sentimento che germoglia pericolosamente ai margini della morte. Il primo incontro tra Yumiko e Shiro ha luogo nel gelo burocratico del funerale: immediatamente, in un incrocio di sguardi, ha inizio un destino comune, una reciproca deriva del sé che Naruse filma con scene brevi, disorientanti e parallele. Sebbene riconosciuto innocente, Shiro vede la propria esistenza dissolversi: la compagnia lo trasferisce, la fidanzata lo lascia in una scena di rara maestria, dove la chiusura di una tenda simboleggia metaforicamente l’ultima, squallida richiesta sessuale della ragazza. Naruse, in un passaggio sottilmente espressivo, ci mostra la reazione di Shiro, che educatamente ma con fermezza riapre la tenda, rifiutando le sue avances. Il confronto è giocato in poche immagini, tra prospettive esterne e interne, piani medi e primi piani, silenzi e gesti (la mano di lei che afferra la borsa) e infine una porta che si chiude, a sancire la fine definitiva del rapporto. 
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Nel frattempo, Yumiko viene ufficialmente rimossa dalla famiglia del marito e subisce le umiliazioni di una burocrazia che le assegna una misera pensione. Costretti a lasciare Tokyo, i due si ritrovano per un beffardo disegno della sorte a vivere poco distanti, sulle sponde del lago Towada. Il tempo assume una dimensione emotiva di staticità  – le tipiche prigioni spirituali in cui tanti personaggi di Naruse si rinchiudono – e sia Shiro che Yumiko rivivono ciclicamente l’esperienza del trauma, attraverso insensibili commenti di colleghi o conoscenti, anonimi sguardi colpevolizzanti o lugubri coincidenze. Naruse compone immagini che hanno la forza del sogno, cura meticolosamente la componente del colore sfruttando quasi esclusivamente i toni del beige per annullare i contorni delle cose e sfaldare la realtà. Le coordinate del senso comune si fanno diafane, la lucidità razionale affonda in un pulsare magmatico di emozioni.
 
In una sequenza di onirica bellezza, Yumiko barcolla ubriaca, seguita dalla macchina a mano, in uno dei tanti night club che spesso, nel cinema del regista, sono i luoghi della deriva drammatica, della confessione affiorata nella fioca luce artificiale. Anche Shiro si ubriacherà: la morte li rende simili sino a confondersi, secondo una classica procedura hitchcockiana. Lentamente, attraverso una successione di impacciati incontri, i due scoprono il potere salvifico di timide gentilezze, come il versarsi reciprocamente da bere, viaggiare insieme in autobus o inclinare l’ombrello verso l’altro in un giorno di pioggia, affinché non si bagni. Intermittenze emotive, metaforizzate dalla manifestazione improvvisa di fenomeni naturali – il rumore del tuono, la luce del lampo  – schiudono i sentimenti umani. Nel delirio febbrile di una notte di tempesta, le mani di Shiro e Yumiko vincono il terrore dei sentimenti per stringersi l’una nell’altra, in un primo piano che racchiude una grazia innocente, un disperato attaccamento alla vita.
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Naruse affronta questa rinascita amorosa col senso cupo d’un presagio. C’è, nell’infinito del suo cinemascope, nelle figure stagliate nel vuoto prive di riferimenti, la tensione vivida del thriller. I due protagonisti, dallo sguardo di animale braccato, vivono costantemente sull’orlo dell’abisso; una scena di rara serenità ce li mostra sorridenti in un prato, come in una finzione di Borges: nostalgia di una vita mai realizzata. 
La sublime colonna sonora di Takemitsu Tōru, tra i più grandi compositori giapponesi contemporanei, insegue sonorità alla Bernard Hermann di Vertigo e accompagna i personaggi nel calvario di memorie, incidenti, ritorni. Vicini alla realizzazione del proprio desiderio, per poi precipitare nella crudeltà del presente, Yumiko e Shiro rinnovano il triste racconto di un amore che è sempre infelice nell’esistenza terrena. Ma il testamento di Naruse è la fede nel potere del cinema, la sua rivincita sui limiti del reale: l’ultima immagine è di Yumiko sola, lo sguardo rivolto all’orizzonte, nella quiete luminosa del lago. Un finale aperto come il cinema di Naruse, che resta vivo e sempre nuovo, in attesa di un futuro.

 

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Marcella Leonardi

 
 
Titolo originale: 乱れ雲 (Midaregumo); regia: Naruse Mikio; sceneggiatura: Yamada Nobuo; fotografia: Aizawa Yuzuru; musiche: Takemitsu Tōru; montaggio: Ooi Eiji; interpreti: Tsukasa Yōko (Yumiko); Kayama Yūzō (Mishima Shiro); Tsuchiya Yoshio (Hiroshi, marito di Yumiko); produzione: Tōhō; durata: 108’; prima uscita in Giappone: 18 novembre 1967.
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