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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

SWAY (Yureru, NISHIKAWA Miwa, 2006)

di Davide Morello

SPECIALE NISHIKAWA MIWA

nishikawa-sway

 

Takeru, un fotografo di Tokyo, parte con la sua Ford anni Sessanta per il funerale della madre. Lungo il percorso si ferma presso una stazione di servizio, che si scoprirà essere proprio quella della sua famiglia. Giunge alla cerimonia dove trova suo fratello Minoru e il padre. Il giorno dopo, Takeru nota la bella Chie, che già conosceva e di cui suo fratello, invaghito, gli aveva accennato. Avrà occasione di accompagnarla a casa e vivere con lei attimi di intimità. I tre vanno a visitare una località montana. Qui Chie confida a Takeru che vorrebbe andare a Tokyo con lui, ma, schivo, l’uomo si dirige nel bosco e poi attraversa un ponte sostenuto da corde, vacillante, sospeso su un torrente. Chie, vedendolo, vuole raggiungerlo, mentre Minoru le dice che è pericoloso. Poco dopo Chie è sul ponte mentre Takeru, lontano, fotografa dei fiori, destinati ad appassire. Minoru la raggiunge con l’intenzione di aiutarla, quando la donna, nel fuoricampo, cade. Il resto della trama si sviluppa quasi interamente in un’aula giudiziaria nel tentativo di comprendere cosa sia accaduto realmente in quel fuoricampo in cui la donna ha perso la vita.

Se all’esordio il film pare un road movie che privilegia il tema del viaggio, presto, in seguito alla tragedia, la narrazione e l’ambientazione, nell’aula del tribunale, assumono una staticità che si coglie anche nella composizione del quadro, nelle espressioni, negli sguardi, nelle posture e nei silenzi dei protagonisti.

Sway narra di relazioni, soprattutto quella fra i due fratelli, che al centro ha proprio la figura destabilizzante di Chie; narra di rapporti familiari, gelosie, diffidenze, vuoti e assenze che si traducono in un’accurata messa in scena. Ma è anche un film sulla giustizia e sulla verità, che vacillano come il ponte sospeso: una riflessione sulla  relatività dei punti di vista. Ed è proprio la dinamica degli sguardi che sin dall’inizio suggerisce quali siano i rapporti fra Takeru e Chie, quando lui la guarda dall’interno dell’auto e il suo interesse è accentuato da un raccordo sull’asse; cerca di nascondersi indossando gli occhiali e parte quando lei sta per bussare al finestrino, guardandola ancora nello specchietto. Una volta che si ritroveranno, lui dirà di non averla notata e lei di non averlo riconosciuto.

Schermaglie che caratterizzano l’atteggiamento ambiguo del protagonista, in primo luogo, ma non solo, e che anticipano l’evolversi delle dinamiche relazionali. Il conflitto latente fra i fratelli è restituito attraverso l’alternanza: quando Takeru fa l’amore con Chie, Minoru è solo alla stazione di servizio; ma è ancora più palese nel viaggio in auto notturno dove nel dinamismo dell’illuminazione, la macchina da presa esplora i volti dei personaggi e dove il gioco di sguardi, ancora una volta, si fa carico di interpretare i moti interiori, manifestando la gelosia di Takeru il quale vede nello specchietto, incorniciati, suo fratello e la donna. Un conflitto che si renderà evidente in parlatorio e ancor più in tribunale, dove le ricostruzioni soggettive dei fratelli culmineranno con un colpo di scena.

La sequenza centrale dell’incidente fa ancora perno su una dinamica di sguardi e figure dell’assenza, visive e sonore. L’uso inusuale della macchina a mano sul ponte traballante e della verticalità dell’inquadratura preludono il fatale fuoricampo, quando il sonoro dell’acqua scrosciante si interrompe in un silenzio prolungato. Come a evocare una netta frattura, anche le sirene dei soccorsi sono mute, così come le parole di Takeru che parla con il poliziotto, all’improvviso non si odono più. Si prolungano i silenzi, in casa con il padre, in parlatorio e in tribunale dove il dinamismo dell’immagine non è restituito tanto dai rari e lenti movimenti, ma da una insistita alternanza di primo piano e profondità, attraverso la messa a fuoco. 

Figure dell’assenza che connotano il film sin dall’inizio, quando lo sguardo del protagonista si sofferma sulla foto della madre defunta, nelle immagini riflesse, nelle numerose disinquadrature in parlatorio dove la macchina da presa rimane fissa sugli ambienti abbandonati. Fra tali figure, particolare valenza metonimica assume la scarpa bianca trascinata dalla corrente, di notte. 


Titolo originale: ゆれる (Yureru); regia e scenegiatura: Nishikawa Miwa; fotografia: Takase Hiroshi; montaggio: Miyajima Ryūji; musiche: Cauliflowers; interpreti e personaggi: Odagiri Joe (Takeru), Kagawa Teruyuki (Minoru), Ibu Masatō (il padre), Arai Hirofumi (Okajima Yohei), Maki Yōko (Chieko); produzione: TV Man Union, Engine Film, Bandai Visual Company, Eisei Gekijo; distribuzione: Cathay-keris Films, Bandai Visual Company; durata: 120’; uscita nelle sale giapponesi: 8 luglio 2006.

 

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