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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

KAMEN RIDER BLACK SUN (Kamen Raidā Burakku San, SHIRAISHI Kazuya, 2022)

Disponibile su Amazon Prime Video

di Matteo Boscarol

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La serie reimmagina il popolare personaggio creato da Ishinomori Shōtarō nel 1971, in  particolare la serie del 1987, riuscendo nel difficile compito di mescolare il genere tokusatsu supereroistico con un cinema politico dai forti rimandi agli anni Settanta, dove si svolge per altro metà dell’arco narrativo.

Siamo nel 2022, sono passati cinquant’anni da quando il governo giapponese ha dichiarato legale la coesistenza tra umani e kaijin, i mutanti. Le tensioni sociali stanno aumentando, da una parte frange di estremisti che vogliono eliminare i mutanti, dall’altra coloro che cercano di difendere i loro diritti. Fra quest’ultimo gruppo di attivisti, si evidenzia Izumi Aoi, una ragazzina che chiede, con un discorso alle Nazioni Unite, l’abolizione della discriminazione che di fatto ancora esiste verso i kaijin. Un giorno Aoi incontra Minami Kōtarō, un mutante solitario che da bambino assieme all’amico fraterno Nobuhiko era stato sottoposto al procedimento per essere trasformato in un mutante. I due finiscono per incontrarsi di nuovo e fare i conti con il loro passato e con l’organizzazione Gorgom. 

Nata in occasione delle celebrazioni per i cinquant’anni di Kamen Rider, la prima serie andò in onda nel 1971, questa serie per il web, disponibile e prodotta da Amazon, tinge uno dei prodotti televisivi giapponesi più popolari di ogni tempo, ancora in corso nel 2022, di colori più tetri e quasi orrorifici, senza però mai tradire il genere supereroistico di cui rappresenta una variazione. In dieci episodi variamente classificati, alcuni sono vietati ai minori di 18 anni, altri a quelli di 16 o 14 anni, soprattutto per i contenuti violenti, la serie reimmagina i personaggi e la storia di Kamen Rider Black, uscita sulle televisioni giapponesi dal 1987 al 1988. La trasforma però anche in un lavoro che molto ha da dire sul lascito dei movimenti di protesta e di opposizione esplosi fra gli anni Sessanta e Settanta in Giappone e sui modi attraverso i quali una società, in questo caso quella giapponese, si rapporta al diverso. 

Questo tono fortemente politico e di riflessione sociale è evidente fin dalle primissime scene, dove vediamo la giovane Aoi impegnata in un discorso alle Nazioni Unite, con cui cerca di sostenere e promuovere la pacifica convivenza fra kaijin ed esseri umani. A questo inizio seguono immagini dove un gruppo di estremisti manifesta contro i diritti dei mutanti, queste provocazioni verbali causano la rabbia dei kaijin, giunti a manifestare pacificamente, e la loro conseguente trasformazione. La polizia viene gettata nel panico e uno dei mutanti che si stava arrendendo viene ucciso a sangue freddo. E già qui contenuto in nuce molto di quello che sarà sviluppato nel resto della serie, dalle tattiche diffamatorie e di esclusione da parte dei partiti e dei gruppi conservatori, al grande dilemma che ha attraversato i movimenti di dissenso giapponesi, e non solo, del secolo scorso, in questo caso i mutanti, e cioè la necessità o meno dell’uso della violenza contro l’oppressione. 

Da una parte quindi, un cinema molto politico, e dichiaratamente schierato, dall’altra un lavoro che rappresenta, dal punto di vista estetico, un’ulteriore rielaborazione del genere tokusatsu. I design dei vari personaggi molto si rifanno ai cinquanta anni di storia di Kamen Rider, e quello dei due protagonisti in particolare, Black Sun e Shadow Moon, è molto accattivante e, visto il tono cupo della serie, tende a privilegiare i colori scuri e l’aspetto aggressivo, spigoloso e quasi barocco delle loro “maschere”. A questo si aggiungono le forme bizzarre, quasi manifestazioni delle parti dell’inconscio più perturbante, di tutti gli altri kaijin, balene, pipistrelli, pulci o insetti di vario genere. Come da tradizione, seguendo cioè il lavoro fatto nei decenni da Ishinomori, sia sulla pagina disegnata, sia in televisione e nel merchandise, non si tratta di design eleganti o esteticamente accattivanti, come accade per esempio nel cinema o nei fumetti Marvel, ma sono forme volutamente estreme, quasi di cattivo gusto e spesso comiche. In questo senso, le forme non piacevoli dei mutanti sono funzionali al discorso dell’accettazione del diverso che viene portata avanti nella serie, facile è infatti farsi piacere un mutante dal bell’aspetto come i due protagonisti, più difficile e profondo è accettare kaijin dalle forme spropositate ed esagerate.

Proprio questo è l’elemento che potrebbe disorientare il non appassionato di serie giapponesi, il lato tokusatsu della serie, effetti speciali che rimandano ad una cura quasi artigianale dei personaggi, può sembrare infatti “brutto”, “da quattro soldi” e stonare con la serietà dei temi e di tutto il resto messo in scena. Questo voler tenere insieme la parte più pop con quella più fortemente politica è forse, quasi programmaticamente, in quanto rifacimento e celebrazione di uno dei tokusatsu televisivi più significativi, il punto più debole della serie. 

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La serie è popolata di un’infinità di personaggi, fra quelli più riusciti si evidenziano Kamen Rider Black Sun, interpretato da Nishijima Hidetoshi, Aoi, interpretata dalla giovanissima Hirasawa Kokoro, 14 anni al tempo delle riprese, ma anche Ōshiba Rū nei panni del primo ministro, evidente parodia di Shinzo Abe (ovviamente la serie è stata girata prima del suo assassinio). A questo proposito va sottolineato come la rappresentazione del modo in cui la macchina politica si perpetui sulle carcasse dei più deboli, dei politici stessi e della storia, cavalcando l’onda del momento, sia uno degli elementi più riusciti dell’intera serie. Senza rivelare troppo della trama, c’è un importante ramo narrativo che è un evidente rimando alla storia di Kishi Nobusuke, nonno di Shinzo Abe, criminale di guerra e implicato nella famigerata Unitá 731 durante il periodo bellico, ma anche dell’ascesa di un giovane Shinzo Abe nella politica che conta dell’arcipelago. I riferimenti a momenti cruciali per la storia del Giappone contemporaneo si trovano copiosi durante tutte le dieci puntate. Segnaliamo almeno l‘Asama Sansō Jiken (i fatti dell’Asama Sansō) qui chiaramente citato con tanto di Cup Noodle, il celebre prodotto istantaneo divenne infatti popolare proprio grazie all’assedio in questione, quando i poliziotti lo mangiarono durante l’estenuante attesa e, punto fondamentale, il tutto fu trasmesso in diretta televisiva per più di dieci ore, prima volta nella storia del Giappone. La spettacolarizzazione dell’evento, alcuni membri del gruppo rivoluzionario Rengō Sekigun si rifugiarono in una casa di montagna dopo una serie di purghe interne, fu una delle concause per cui l’opinione pubblica giapponese cominciò ad aver paura e temere i movimenti di protesta. C’è un prima e un dopo il 1972 in Giappone, da qui comincia la percezione, che corrisponde solo in parte a realtà, di una estremizzazione dei movimenti di protesta, che diventarono sì più violenti, ma in risposta alla strategia, anch’essa violenta, dello Stato giapponese. In Kamen Rider Black Sun questa tensione e queste domande non sono solo citate, ma costituiscono una parte importante dello stesso arco narrativo con protagonisti i giovani mutanti nel 1972 e la trasformazione e degenerazione del loro gruppo politico, nel corso di 50 anni, in una vera e propria setta religiosa. 

Scegliendo di ambientare i fatti principalmente in due timeline, il 1972 e il 2022, con alcune puntate nel periodo post bellico e il 2002, la serie non solo delinea, come abbiamo visto, una possibile storia dell’attivismo e dei movimenti di protesta dell’arcipelago, gli anni Sessanta e Settanta (fino alla data cruciale del 1972) sono nell’immaginario giapponese ancora oggi, giustamente, ricordati come la stagione delle lotte politiche e sociali, ma cerca anche di mettere in mostra come il passato e i suoi fallimenti siano ancora fortemente legati con il presente ed il futuro, e lo fa in modo molto convincente, tanto che il finale sembra essere una vera e propria dichiarazione d’intenti per le nuove generazioni, mutanti o esseri umani. 

Shiraishi è stato per anni vicino a Wakamatsu Kōji, regista di pink eiga politicamente schierati, e nel 2018 aveva addirittura portato sul grande schermo un segmento importante della storia della Wakamatsu Production con Dare To Stop Us. Anche se è stato scritta da Takahashi Izumi, questa serie è un lavoro che rispecchia a pieno l’estetica e le preoccupazioni del suo regista, il cinema considerato come impegno politico, come abbiamo visto, ma anche un lavoro dove hanno molto spazio la violenza e la descrizione della corruzione nella società, elementi che innervano molti altri suoi lavori, si ricordi qui almeno The Blood of Wolves (2018).


Titolo originale: 仮面ライダーBLACK SUN (Kamen Raidā Burakku San); regia: Shiraishi Kazuya; sceneggiatura:Takahashi Izumi; personaggi creati da: Ishinomori Shōtarō; direzione artistica: Imamura Tsutomu; produttori: Hasegawa Haruhiko, Mukuki Hironao, Satō Masahiko; musica: Matsukuma Kenta; interpreti e personaggi: Nishijima Hidetoshi (Minami Kōtarō), Nakamura Tomoya (Akizuki Nobuhiko), Nakamura Aoi (Minami Kōtarō da giovane), Hirasawa Kokoro (Izumi Aoi), Miura Takahiro (Bilgenia), Otoo Takuma (Bat Kaijin), Hamada Gaku (Whale Kaijin), Puriti Ōta (Baraom), Yoshida Yō (Bishium); produzione: Tōei e Ishinomori Productions; durata: 430’; prima uscita giapponese: 28 ottobre 2022. 

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