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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

WANDERING (Ruroru no tsuki, LEE Sang-il, 2022)

di Valerio Costanzia

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Realizzato dal regista coreano naturalizzato giapponese Lee Sang-il, che ha all’attivo una decina di film come Hula Girl (Fura gāru 2006) – vincitore di numerosi premi, tra cui il prestigioso Kinema Junpō Award come miglior film del 2007 – Villain (2010) e Unforgiven (2013), Wandering si avvale del contributo, alla fotografia, di un altro coreano, Hong Kyung-pyo, direttore della fotografia di Parasite di Bong Joon-ho. Il film è tratto dal romanzo Rurō no tsuki (in Italia è stato pubblicato nel 2022 dalla casa editrice Atmosphere Libri con il titolo Luna nomade) di  Yuu Nagira.  

In un parco, durante una giornata piovosa, una bambina, Sarasa, viene avvicinata da un ragazzo, Fumi, che la ripara con un ombrello e poi la invita, con il consenso della bambina, nel suo appartamento. Da una serie di flashforward scopriamo che Fumi viene arrestato per pedofilia ma anche che Sarasa è stata oggetto di abusi presso la sua famiglia di origine. Dopo circa 15 anni le vite di Sarasa e Fumi si incrociano nuovamente: da allora molte cose sono cambiate per Sarasa che adesso lavora come cameriera e ha una relazione con Ryō con il quale ha in progetto di sposarsi. Ma la ricomparsa di Fumi rimette tutto in discussione e, soprattutto, porta alla luce le verità nascoste celate da pregiudizi e sbrigative condanne.   

Wandering ovvero vagante, errante o forse sfuggente: nell’affrontare il tema di un (presunto?) amore proibito, Lee Sang-il sceglie una narrazione non lineare che alterna, tra flashforward e flashback, tempi, luoghi e corpi che si incontrano, poi si perdono e infine si ritrovano. Una scelta che ci sembra funzionale al racconto perché ci accompagna, con pudore e discrezione, a osservare una liaison certamente non convenzionale, quella tra Fumi e Sarasa, eppure avvolta e, verrebbe da dire, protetta da un’aura di candore e innocenza. Il regista è abile nel disorientare lo spettatore mettendolo davanti a una presunta colpa di cui Fumi si sarebbe macchiato nei confronti di Sarasa, ovvero di pedofilia, quando invece scopriamo che “l’orco” si nasconde altrove, nella famiglia di Sarasa. 

D’altra parte, il rapporto tra Fumi e Sarasa è all’insegna della dolcezza e della tenerezza, a partire dalla sequenza iniziale ambientata nel parco sotto la pioggia in cui Fumi offre riparo, con l’ombrello, a Sarasa: è un riparo che va ben oltre la pioggia e che ha l’obiettivo di mettere al sicuro l’anima ferita di Sarasa. Curiosamente 15 anni dopo – quando ormai Sarasa è una donna matura –  i ruoli sembrano quasi alternarsi, adesso è lei che sente il bisogno di ritrovare Fumi, di riallacciare le fila di un discorso interrotto dal suo arresto. Sarasa vive infatti una relazione “istituzionalizzata” con il fidanzato Ryō, progettano di sposarsi, i genitori di lui sembrano spingere la coppia all’interno di una cornice familiare tradizionale, ma i dubbi di Sarasa sono molti, il ritrovamento di Fumi sembra aver messo tutto in discussione. 

Complice la fotografia di Hong Kyung-pyo, Lee Sang-il tratteggia una sorta di melodramma intessuto di sensi di colpa (al momento dell’arresto, Sarasa non dice alla polizia che il rapporto con Fumi è del tutto innocente) e pregiudizi che ci raccontano anche di come sia facile e cinico puntare il dito contro una persona accusata di essersi macchiata di una colpa indicibile. Passato e presente si intrecciano, Sarasa adulta che vaga di notte, Sarasa bambina sotto la pioggia. Il regista dissemina il film di metafore visive efficaci e suggestive: si prenda per esempio la scena in cui Fumi prepara un drink a Sarasa, i due liquidi, scuro e chiaro si mescolano lentamente mentre l’obiettivo passa dal bicchiere al volto di Sarasa, uno slittamento tra fuoco e fuori-fuoco che sembra sancire quel rapporto sfuggente ed errabondo; oppure l’acqua, elemento ricorrente a partire dall’incipit piovoso che ritroviamo in altre due sequenze parallele, quasi una rima interna, in cui prima Fumi e poi Sarasa si immergono nell’acqua del lago. Per Fumi sembra quasi un rituale battesimale, l’ingresso in acqua è lento e ieratico, poi lo sguardo alla luna e infine il pianto; per Sarasa, dopo la bellissima inquadratura in campo lungo di spalle sul pontile (1) – un impeccabile quadro simmetrico scolpito dalla luce fredda di Hong Kyung-pyo – è un tuffo nell’acqua gelida e un vagare sott’acqua, quasi come nell’Atalante di Vigo, ma al sorriso di Dita Parlo qui si contrappone il pianto disperato di Sarasa.  

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E poi la scena dell’albero a casa della madre di Fumi, un alberello debole che la madre sradica (“devo sentirmi in colpa per i tuoi problemi?” gli dice la madre) e che in modo persin esagerato mostra, in tutta la drammaticità della scena finale, il “disordine” di Fumi, il suo non essere risolto, un terribile segreto che allontana ogni possibile colpa materiale, se non quella morale. E infine quella più scabrosa e ambigua, foriera di cattivi pensieri, ovvero quando Fumi pulisce le labbra (2) di Sarasa bambina sporche di ketchup: una scena dalla fortissima carica erotica e che, significativamente, Lee Sang-il colloca, nella fabula, in uno spazio temporale anteriore al disvelamento del terribile segreto di Fumi. 

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Un’ambiguità di fondo sulla quale il regista mette alla prova il pregiudizio di noi spettatori come, per esempio, quando Fumi – alla richiesta della sua ragazza sul perché si sia sempre rifiutato di andare a letto con lei – mentendo, le confessa di essere attratto dalle bambine e di essersi messo con lei unicamente per capire che cosa si prova con un adulto. 


Titolo originale: 流浪の月(Rurou no Tsuki); regia e sceneggiatura: Lee Sang-il dal romanzo di Nagira Yuu; fotografia: Hong Kyung-pyo; montaggio: Imai Tsuyoshi; scenografia:  Kitagawa Miyuki, Taneda Yohei; musica: Hara Marihiko; interpreti: Hirose Suzu (Kanai Sarasa), Matsuzaka Tori (Saeki Fumi), Yokohama Ryusei (Nakase Ryō), Tabè Mikako (Tani Ayumi), Shuri (Anzai Kanako), Miura Takahiro (Yumura), Shiratori Tamaki (Sarasa Kanai a 10 anni), Masuda Mio (Anzai Rika), Uchida Yayako (Saeki Otoha), Emoto Akira (Agata); produzione: Honoki Hiromi, Uno Yashuide; durata: 150’; uscita in Giappone: 13 maggio 2022

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