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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

THE WIFE OF SEISHU HANAOKA (Hanaoka Seishū no tsuma, MASUMURA Yasuzō, 1967)

SPECIALE MASUMURA YASUZŌ E WAKAO AYAKO

di Giacomo Calorio

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Adattamento cinematografico, sceneggiato da Shindō Kaneto, della biografia romanzata del medico Hanaoka Seishū, The Wife of Seishu Hanaoka si struttura come un duello che vede in campo non solo i due personaggi principali, ovvero la moglie del medico Kae e la di lui madre Otsugi, ma anche le loro due interpreti, rispettivamente Wakao Ayako e Takamine Hideko, stelle del firmamento cinematografico giapponese che qui si contendono abilmente la scena tra sguardi, sentimenti trattenuti, perfetta adesione all’etichetta, parole taciute e battute taglienti elargite con parsimonia chirurgica.

Kae, figlia di samurai, viene richiesta in sposa per Seishū, il promettente rampollo della dinastia di medici Hanaoka. Nonostante le remore dei genitori e sebbene lo stesso sposo sia assente al momento delle nozze in quanto impegnato in un soggiorno di studio che lo terrà lontano da casa per ben tre anni, la fanciulla accetta di buon grado la proposta perché affascinata sin da bambina dalla madre del pretendente, Otsugi, giunta a reclamarla di persona. Il rapporto tra suocera e nuora, dapprima idilliaco almeno all’apparenza, muta tuttavia in una morbosa competizione al ritorno del giovane medico.

Amara parabola sulla vacuità del potere e di tutto ciò che gravita intorno alla sua sete (vanità, orgoglio, opportunismo, ripicche, desiderio di rivalsa, sacrificio, ossessione), The Life of Seishu Hanaoka è un film costruito interamente sullo sguardo. O meglio, su una molteplicità di sguardi. Sin dal principio, è quello di Kae, la giovane interpretata da Wakao, a guidare lo spettatore. È attraverso il suo punto di vista, dapprima defilato rispetto alla narrazione ma già espressione di un pulsante desiderio, che osserviamo lo splendore e i successi, così come i lati oscuri, della famiglia Hanaoka. Quando Kae non compare ai bordi o sullo sfondo del quadro a osservare silenziosa quanto avviene nel primo piano, eccola in quello stesso primo piano in inquadrature strutturate come sue semi-soggettive, o ancora a origliare discreta come un grazioso fantasma in uno spazio adiacente (1).

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Inizialmente l’oggetto del suo desiderio è la futura suocera Otsugi, ammirata per la sua bellezza e intelligenza, sotto la cui aura Kae desidera porsi forse per esserne illuminata, forse per emularla, forse, inconsapevolmente, per prenderne un giorno il posto. Il suo sguardo e il suo anelito sono al principio tanto immaturi quanto sinceri, ma sembrano già celare in nuce i semi di un desiderio pronto a germogliare in una contorta, benché del tutto umana, ossessione. La prima volta che, da bambina, Kae vede Otsugi, questa sta passeggiando in uno splendido campo di fiori: lei ancora non lo sa, ma quei fiori sono velenosi, e saranno all’origine della sottile, invisibile e lenta tragedia che consumerà la sua vita.

Quando Seishū torna finalmente a casa, la prospettiva del film si ribalta: ora è lo sguardo di Otsugi a dominare molte inquadrature, in un rapporto dialettico con quello della nuora. La figura di Kae, da questo punto in poi, si perde, nella costruzione dei quadri, tra quelle delle altre donne della casa; entrata in punta di piedi tra le mura domestiche e dapprima accolta in armonia con esse, ora ella viene messa in disparte, soffocata, ridotta a un corpo tanto prezioso (è il corpo che deve dare vita al futuro erede della casata) quanto mero strumento dell’istituzione-famiglia, oggetto da custodire e dominare secondo lo sguardo e la volontà della padrona di casa. Le vessazioni e il sadismo di questa nei confronti di Kae sono tanto sottili da essere quasi impercettibili, sempre celate dietro le manipolazioni di un’etichetta che incombe e non viene mai meno, di parole melliflue e di false premure. Il rapporto tra le due donne trova tuttavia un nuovo equilibrio, sorretto da una tensione crescente, dopo che il rapporto coniugale viene consumato e Kae rimane incinta. È in questo momento che una Kae raggiante per aver assaggiato il potere e innamorata del carisma del marito esplicita per la prima volta di aver compreso la vera natura della suocera (il cui unico scopo, secondo la fanciulla, è quello di garantire la linea di sangue detenendo però il controllo della casa e l’affetto del figlio). Da qui, il desiderio di Kae diventa sete di rivalsa.  Anche in questo caso, tuttavia, la competizione non è mai aperta, né serrata, perché, oltre a nascondersi negli anfratti del non detto, si snoda, seppur implacabile, diluendosi nell’arco di anni, poi decenni. Se per esempio Otsugi, col sorriso sulle labbra, subito dopo il parto rinfaccia tra le righe alla nuora di aver dato vita a una femmina, e solo molti anni più tardi approfitterà di un istante di alta tensione drammatica per chiedere a Seishū di nominare erede, al posto della figlia, il proprio fratello minore, Kae attenderà con pazienza il momento giusto per rispondere alla provocazione e al tentativo della suocera di escluderla dalle dinamiche di potere della famiglia, chiedendo a sua volta al marito, lucida pur nel corso di una crisi dovuta al farmaco ricavato dai fiori velenosi, di nominare erede la primogenita nonostante sia femmina.

Nella seconda parte del film, il duello silenzioso tra le due donne sfugge al controllo delle stesse, degenerando in una gara masochista al sacrificio. Suocera e nuora insisteranno per essere usate come cavie dal medico, intento a sperimentare un anestetico per condurre le sue operazioni in maniera più efficace salvando così vite umane. Il trattamento loro riservato è tuttavia differente: alla madre, con la complicità della moglie, l’uomo farò bere solo un placebo, mentre a Kae somministrerà il vero farmaco. La giovane donna si sentirà vincitrice per questo trattamento “di favore”, e con morboso piacere ammirerà, in solitudine nella penombra di una stanza, i lividi sulle proprie cosce, segni dei pizzicotti con cui il marito ha tormentato la sua carne per constatare l’efficacia dell’anestesia mentre lei era dormiente e insensibile. Il senso di vittoria che lei prova è tuttavia un mero sintomo della follia cieca di cui è ormai preda, e cieca diverrà infatti a causa del farmaco stesso. A conti fatti, pur prendendosi gioco della madre, l’uomo ha scelto di risparmiare quest’ultima, ma quando Otsugi, ormai anziana, si troverà in punto di morte, Kae non mancherà di assestarle l’ultima stoccata sottraendo il marito dal capezzale a causa dei dolori che segnano un nuovo parto in arrivo, a suggello della sua ascesa come matrona della casata. Sarà invece la cognata, sino ad allora rimasta defilata, a gettare un diverso sguardo sulla storia (uno sguardo di orrore: tale esso appare quando per la prima volta la vediamo osservare le due donne sulla soglia di una stanza piangere insieme, ma con parole vuote soprattutto da parte di Otsugi, la morte della “scomoda” primogenita di Kae), mettendo in abisso la prospettiva sull’intera vicenda. (2)

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«Io vi ho guardate», dirà in seguito la sorella del medico malata di tumore, lasciando a intendere di aver osservato anche Seishū stesso guardarle mentre competevano facendosi del male al riparo di un ideale filantropico, quello di contribuire a salvare vite umane, troppo inconsistente e mai convincente; un male, dice la cognata, peggiore del cancro che la sta divorando; un male, suggerisce ancora, dei cui frutti ha goduto, approfittandone, solo il fratello medico (colui che passerà effettivamente alla storia). Mentre lui, grazie al sacrificio della moglie e alla devozione della madre, effettua la prima operazione con anestesia in Giappone, Kae soffre i dolori del parto nel dare un nuovo erede alla casata. Masumura ricorre in questa sequenza al montaggio alternato per sottolineare quella che è solo un’apparente vittoria della donna, e non si risparmia sui dettagli più raccapriccianti dell’operazione per richiamare l’attenzione su tutto il fondale di sporcizia e orrore, insito nella stessa natura umana e dall’esterno invisibile, su cui si reggono persino le più nobili delle imprese. Solo una volta che avrà raggiunto il proprio scopo, non potendo più indirizzarlo altrove, Kae rivolgerà a sé stessa il proprio sguardo e si renderà forse conto di quanto futili siano stati il suo desiderio, la sua vanità e la sua intera esistenza: a nulla le servirà uno stemma di famiglia, dedicatole dal marito, a lei solo comprensibile e che non potrà vedere, e con fastidio si nasconderà agli sguardi di coloro che imbastiranno leggende che elogiano un sacrificio che sa non essere sincero. Il finale del film richiama l’incipit, perché Kae si ritrova proprio là dove voleva arrivare, a passeggiare in quel campo di fiori velenosi al posto della defunta suocera, per poi accasciarsi al suolo al pari dei tanti gattini usati dal medico come cavie, stordita e schiacciata dalla consapevolezza dell’insensatezza della natura umana, della vuota circolarità dei meccanismi di desiderio, potere, egoismo e assoggettamento alle istituzioni. La macchina da presa è distante: Masumura resta a osservare, e il suo sguardo non giudica, non spiega, suggerisce appena, in silenzio.


Titolo originale: 華岡青洲の妻(The Wife of Seishū Hanaoka). Regia: Masumura Yasuzō; sceneggiatura: Shindō Kaneto dall’omonimo romanzo di Ariyoshi Sawako; fotografia: Kobayashi Setsuo; montaggio: Suganuma Kanji; musica: Hayashi Hikaru; interpreti e personaggi: Wakao Ayako (Kae), Takamine Hideko (Otsugi), Ichikawa Raizō (Seishū), Itō Yūnosuke (il padre di Seishū); prodotto da: Nagata Masaichi e Tsuji Hisazaku per Daiei. Uscita in Giappone: 20 ottobre 1967. Durata: 99’.

 

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