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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

MORNING FOR THE OSONE FAMILY (Ōsone-ke no asa, KINOSHITA Keisuke, 1946)

SPECIALE KINOSHITA KEISUKE
SONATINE CLASSICS

di Marcella Leonardi

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Dopo Army, film di propaganda in cui il giovane Kinoshita riuscì tuttavia ad esprimere, attraverso “crepe” nella retorica bellicista, la sua tensione pacifista e la commozione per le sofferenze provocate dalla guerra, il regista può finalmente, all’indomani della resa del Giappone, ripercorrere il recente passato in Morning for the Osone Family, esponendo in forme esplicite e “calde” i propri sentimenti nei confronti della politica imperialista. Nel raccontare le vicende della famiglia Osone, Kinoshita si avvicina al sentire popolare, alla disperazione di un paese devastato e oppresso. E se non vi è dubbio che l’occupazione americana incentivasse questo tipo di rappresentazioni, effettuando a propria volta un “controllo” delle sceneggiature affinché veicolassero principi democratici e liberali, va riscontrato come, all’interno di questa “nuova propaganda”, i sentimenti di speranza di Kinoshita e la sua fede democratica fossero limpidi e sinceri.

Il film ripercorre la vita della famiglia Osone, progressista e liberale, durante gli ultimi due anni di guerra. Uno dei quattro figli, Ichiro, viene arrestato come sovversivo per aver scritto un saggio pacifista; un altro, Taiji, amante dell’arte e della pittura, è costretto a partire per il fronte; il più piccolo, Takashi, viene sobillato dallo zio militarista, Issei, e si arruola spontaneamente ancora giovanissimo. Yuko, la figlia, si vede separata dal fidanzato Akira, mentre Fusako, la madre, è costretta ad obbedire allo spietato e fanatico Issei, che assume il controllo della casa con un atteggiamento fascista e autoritario che incarna la spietatezza della politica nazionale.

Il film si svolge tra le pareti della casa, all’interno della quale il regista scivola (con un iniziale carrello all’indietro che ci “chiude” dentro) per non uscirne più sino alla sequenza finale. Ma la macchina da presa, per l’intera durata del film, è estremamente mobile e inventiva grazie a panning laterali, piani sequenza e composizioni di straordinaria intensità. Kinoshita, regista amatissimo in patria ma meno conosciuto dal pubblico internazionale, riesce ad applicare la sua idea di cinema “totale” anche ad un racconto apparentemente limitato da un soggetto opprimente e dall’ambientazione in interni. Due elementi ci sembrano fondamentali e ricorrenti nell’arco di tutta la sua filmografia: la passione sperimentale, che lo porta a reinventare non solo spazi e prospettive, ma anche generi e stili, in cui trasferire la propria visione del mondo; e una sincera propensione popolare, un desiderio di farsi portavoce delle vicende e dei pensieri delle persone comuni.

Partendo dalla scena iniziale, che riprende l’intimità della famiglia durante la notte di Natale, Kinoshita lavora su un progressivo incrinamento della realtà fino alla sua disgregazione. Entrate in scena improvvise, addii, lutti e rovesciamenti del quotidiano vengono registrati in una narrazione incalzante e attraverso modulazioni dello stile, adattato ai diversi momenti drammatici. Ad esempio la separazione dei giovani innamorati, Yuko e Akira, è filmata secondo i codici del cinema romantico: i due si avvicinano, si allontanano; la macchina da presa li corteggia pudicamente, li avvicina stringendoli nell’inquadratura, li separa in campi e controcampi lasciando alle immagini, più che a un dialogo afasico e interrotto, la conversazione dei sentimenti. Yuko viene inquadrata più volte con il capo leggermente inclinato e le labbra socchiuse, quasi a suggerire, nella sua postura, un invito di fronte alle esitazioni di Akira. Assistiamo, in pochi minuti, a un melodramma compiuto, tra lacrime, la neve che cade dietro i vetri, una porta che si chiude e, infine, un’immagine di solitudine dal carattere sirkiano.

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La separazione dei due innamorati

Di carattere differente invece sono le scene dedicate alla sofferenza della madre Fusako, alla quale Kinoshita imprime maggiore violenza, sia attraverso primi piani prolungati che scavano il volto della donna immobilizzandone il dolore, sia tramite l’uso di chiaroscuri e, talvolta, un montaggio da cinema horror, come ad esempio nella scena dell’incubo: qui il regista sembra anticipare il bianco e nero contrastato e psicologico della classica storia di fantasmi Yotsuya kaidan che girerà nel 1949, mentre stacchi serrati e inquadrature angosciose – dettagli, prospettive dal basso, corpi inquadrati attraverso il nero di corridoi o velati da tende – esprimono tutto l’orrore interiore vissuto da una madre che sa di aver perso i suoi figli.

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La guerra come orrore nel sentimento di una madre

Kinoshita si rivela sensibile nell’assorbire alcune tendenze del cinema americano, come lo studio del progresso drammaturgico in un découpage a tratti classico in senso hollywoodiano, e l’analisi psicologica dei personaggi mediante momenti chiave che ne definiscono radicalmente il carattere; ma allo stesso tempo il film ha una qualità inequivocabilmente giapponese che si esprime nelle stratificate composizioni e nell’attenzione alla profondità di campo. Kinoshita sfrutta tutte le sfumature offerte dalla messa a fuoco, dalla disposizione delle figure umane in avampiano e sullo sfondo, dall’esplorazione in profondità della realtà: è un cinema che riflette sull’immagine e ne fa un microcosmo emotivo, sentimentale e d’azione. Inoltre, in alcune scene gli interpreti diventano “spettatori” insieme a noi, ponendosi ai margini dell’inquadratura in funzione di osservatori: un procedimento adottato anche da William Wyler in un film di guerra dello stesso anno, The Best Years of Our Lives (1946)

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Personaggi osservatori e profondità di campo

Opera pacifista di sincero fervore, ma anche film “femminista” che affida alla forza ritrovata di Yuko e Fusako il confronto finale con la follia fascista e feudale dello zio Issei, Morning for the Osone Family si chiude con immagini di pura astrazione: volti irradiati dalla luce, poi un campo lunghissimo su un’alba. “Il nostro tempo finalmente è giunto, il paese appartiene di nuovo al popolo”, dichiara uno dei personaggi. In realtà, questa scena fu imposta dalla censura americana; ma Kinoshita riesce a distillare un momento di fede da consegnare all’immaginario di un paese stremato, una sorta di preghiera popolare per la venuta di un nuovo giorno nel Giappone.

Titolo originale: 大曾根家の朝; regia: Kinoshita Keisuke; sceneggiatura: Hisaita Eijirō; fotografia: Kusuda Hiroshi; scenografia: Miori Mikio; montaggio: Sughihara Yoshi; musica: Asai Takaaki; interpreti e personaggi: Sugimura Haruko (Ōsone Fusako), Miura Mitsuko (Ōsone Yuko); Ozawa Eitarō (Ōsone Issei); Nagao Toshinosuke (Ōsone Ichirō); Ōsaka Shirō; (Ōsone Takashi); Tokudaiji Shin (Ōsone Tajij); produzione: Shōchiku; prima uscita in Giappone: 21 febbraio 1946; durata: 81′.

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