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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

CARMEN COMES HOME (Karumen kokyō ni kaeru, KINOSHITA Keisuke, 1951)

SPECIALE KINOSHITA KEISUKE

di Marcella Leonardi

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Carmen Comes Home è il primo film a colori del Giappone: Kinoshita approfitta delle condizioni imposte dalla Fujifilm, produttrice della pellicola – che richiese riprese in esterni affinché il bilanciamento del colore, ancora in fase sperimentale, risultasse il più naturale possibile – per realizzare la sua commedia più tenera e stravagante, tra colline, cieli azzurri e mucche al pascolo. Nei panni di Carmen, la meravigliosa Takamine Hideko danza in indumenti intimi sull’erba, esibendo gambe fantastiche: una visione squisita e surreale, enfatizzata dalla bellezza paesaggistica della prefettura di Nagano. Con quest’opera opera unica e memorabile (che Kurosawa Akira inserì tra le sue 100 pellicole preferite), Kinoshita si dimostra affine allo spirito irriverente di due grandi maestri americani: Billy Wilder e Frank Tashlin.

Una spogliarellista dal cuore d’oro, dopo aver ottenuto un grande successo a Tokyo con i propri spettacoli, torna nel villaggio rurale natìo assieme ad un’amica-collega. Qui dà scandalo improvvisando uno strip tease per gli abitanti del paese; il padre si imbarazza, il preside della scuola si indigna, i paesani, prevedibilmente, ne vanno pazzi. Carmen dona l’intero ricavato dello spettacolo, e i soldi vengono utilizzati per acquistare un organo a un reduce di guerra rimasto cieco.

Kinoshita fa del primo film a colori prodotto in Giappone un’opera avanguardista, in cui il villaggio tra i monti diviene un paesaggio astratto: i personaggi sono immersi nell’azzurro del cielo, con una bassa linea dell’orizzonte che li staglia contro le nuvole; le piccole case e la scuola sono elementi di un contesto idilliaco, in cui la guerra sembra un ricordo lontano; un organo suona sull’erba, quasi una presenza “aliena” alla Magritte.
Amante dell’arte europea, ammiratore del cinema di René Clair, Kinoshita sembra aver assorbito il ludico surrealismo del primo novecento e il gusto per l’insolito, l’assurdo e le decontestualizzazioni, filtrando però il tutto attraverso uno sguardo autenticamente affettuoso nei confronti delle piccole comunità. Circondato dagli attori più celebri della Shōchiku – Ryū Chishū, Sano Shūji, Sakamoto Takeshi, Sada Keiji, Mochizuki Yūko – il regista allestisce un personale vaudeville dominato dall’entrata in scena di Carmen, vera e propria apparizione sensuale, dalle sofisticate labbra scarlatte e dal corpo candido. Kinoshita affida emozioni, effetti umoristici e trasalimenti erotici agli accesi cromatismi, trasformando l’uso del colore in esperienza sensoriale.

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Carmen e Maya, macchie di colore nel paesaggio naturale

L’abito rosso di Carmen e quello a righe giallo/nere dell’amica Maya si pongono immediatamente come segni di alterità: le ragazze sono bellissime e fuori posto. Nell’uniformità dei verdi pascoli, tra montanari e contadini, ci appaiono allo stesso tempo limpide e voluttuose.
Vedere la Takamine danzare svestita all’aria aperta, in guanti neri e intimo di seta, fu per il pubblico dell’epoca una visione felice che sovvertiva ogni stereotipo: nel film, la vita rurale non è più lo spazio della povertà e della disperazione, ma l’insolito palcoscenico su cui irrompe la presenza nuova e vitale di Carmen, figura-segno di un nuovo immaginario.
Vi è, inoltre, più di un parallelismo tra la comicità veicolata da Carmen e Maya e quella dei personaggi di Marilyn Monroe: figure femminili esplosive, dal corpo erotico e dall’emotività dolce e infantile, fasciate in abiti vistosi ma allo stesso tempo inconsapevoli della portata sensazionale del proprio corpo.

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Le surreali danze sull’erba

Le sequenze musicali sull’erba sono squisiti momenti di pura irrazionalità, ispirati in parte dalla pittura impressionista, in parte dall’arte figurativa del primo novecento, con la sua imperscrutabile astrazione fatta di forme colorate e sospese. Le due candide ragazze danzano, cantano e si abbandonano a esclamazioni infantili quali “Questo posto è pieno di poesia e di sogni!” mentre la composizione dell’inquadratura le tuffa nel cielo, creature buffe e colme di grazia.
Nel corso del racconto, Kinoshita ci stupisce con la varietà e l’estro di uno stile che esprime tutta la tenerezza del regista per le sue protagoniste: la macchina da presa le segue attraverso il bosco in piani sequenza che registrano le loro confessioni, le riprende in campo lungo mentre si intrufolano tra la folla durante un giorno di festa, o immortala le loro espressioni con intensi primi piani. Il montaggio non di rado ricorre a un ritmo sussultorio, mediante “jump cuts” metaforici del subbuglio portato dalla loro presenza all’interno del sonnacchioso paese.

Lo humour pervade anche la colonna sonora (del talentuoso Kinoshita Chūji, fratello e collaboratore fisso del regista) che passa da ritmi tribali (di grande erotismo) al riarrangiamento di brani classici celebri: in una scena, l’Ave Maria di Schubert ci viene servita in versione jazz, a sottolineare l’avvento di un nuovo tipo di “madonna popolare”, non più spirituale e passiva come da tradizione, ma presenza di irriducibile fisicità.
Di sapore sentimentale e nostalgico sono le scene dedicate agli altri personaggi (il preside burbero ma sensibile, il padre combattuto tra amore per la figlia e imbarazzo per il suo comportamento), che ancora una volta mettono in evidenza la qualità “popolare” della regia di Kinoshita, attento a rappresentare con delicatezza sincera il cuore e la vita dei semplici.

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Lo strip-tease all’americana

Carmen Comes Home trabocca di cinema: ci sono, indubbiamente, suggestioni hollywoodiane, ma il regista se ne appropria trasformando il film in qualcosa di autenticamente originale, in cui trionfa il suo senso estetico stupefacente e un raro talento per la commedia. Non manca, inoltre, nella messa in scena dello spettacolo di strip-tease, una critica all’America e al clima di libertà sessuale imposto durante l’occupazione (gli spettacoli di nudo erano largamente incoraggiati): nel mutamento culturale e sociale, Carmen e Maya – come la wilderiana Irma La Dolce del decennio successivo – sono i corpi dell’innocenza.

Titolo originale: カルメン故郷に帰る; regia: Kinoshita Keisuke; sceneggiatura: Kinoshita Keisuke; fotografia: Kusuda Hiroyuki; montaggio: Sugihara Yoshi; musica: Kinoshita Chūji; interpreti e personaggi: Takamine Hideko (Kin Aoyama alias Lily Carmen); Kobayashi Toshiko (Maya); Ryū Chishū (il preside della scuola); Sano Shūji (Haruo, il reduce); Sakamoto Takeshi (Shoichi, padre di Carmen); Sada Keiji (l’insegnante Ogawa); Mochizuki Yūko (Yuki, sorella di Carmen); produzione: Shōchiku; prima uscita in Giappone: 21 marzo 1951; durata: 86′

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