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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

SUZUME ( Suzume no tojimari, SHINKAI Makoto, 2022)

IN SALA DAL 27 APRILE

CANDIDATO ALL’ORSO D’ORO AL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI BERLINO 2023

di Marcella Leonardi

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Abbandonati i ritratti intimi e realistici di 5 cm al secondo (2007) o Il giardino delle parole (2013), negli ultimi anni Shinkai ha intrapreso un percorso nel cinema fantastico (Your name, 2016, Weathering with you, 2019) in cui attuare anche un personale “viaggio di formazione”: si tratta di un (fecondo) periodo di inquietudine artistica, che lo vede impegnato a conciliare le responsabilità e gli oneri della fama con le sue più intime e sincere tensioni espressive.
La sua ultima opera, Suzume, record al box office giapponese, riesce nel difficile compito di assecondare le pressioni dell’industria senza snaturare la visione del mondo che presiede alla poetica del regista: il film si presenta come un devoto e sincero tributo al cinema di Miyazaki, ma allo stesso tempo si affranca dalla pura nostalgia interpretando, con profonda sensibilità, il sentire contemporaneo.

Suzume, studentessa diciassettenne, incontra il giovane e bellissimo Sōta, in viaggio “alla ricerca di una porta”. La ragazza lo segue fino a un edificio in rovina tra le montagne, al centro del quale si trova una porta ancora intatta. Suzume si sente attratta da un potere invisibile e si protende verso la porta, aprendola. Da questo momento, altre porte in tutto il Giappone iniziano ad aprirsi l’una dopo l’altra, lasciando fuoriuscire dei “vermi” giganteschi che scatenano terremoti. Starà a Suzume e Sōta chiuderle tutte, per scongiurare la distruzione del paese.

Aderendo a una “fabula” di immediata accessibilità – il viaggio trasformativo e di formazione di una giovane protagonista (fig.1) – Suzume trasporta i topoi classici di Miyazaki all’interno dell’atmosfera densa e tremula, di ansia urbana e contemporanea, che contraddistingue lo stile di Shinkai. Ritroviamo i portali e le dimensioni “altre” di La città incantata (2001), ma anche la bellezza statuaria di Howl Pendragon (reinterpretato dal più equilibrato Sōta) del Castello Errante di Howl (2004), e temi quali l’antropomorfismo, il volo alla Chagall (in cui l’essere umano si scopre parte del Tutto), la sfida al tempo e allo spazio pur di raggiungere l’amato. Manca l’immagine limpida e netta di Miyazaki – Shinkai predilige lo spessore atmosferico, le brume e l’indistinto di un raggio di sole – ma la sua passione filologica si applica meticolosamente alla composizione dell’inquadratura, con elementi in avampiano (fiori, volti) e profondità di campo.

girls1 – Alla scoperta del sé: Chihiro, Sophie, Suzume

La purezza della protagonista Suzume non è dissimile dall’inesperienza ingenua di Chihiro (La città incantata) o Sophie (Il castello errante di Howl): come loro, la ragazza scopre, nello scorrere degli eventi, la propria forza interiore e l’infinito potere dell’amore; e similmente si rivela, ai suoi occhi innocenti, la trasparenza del limite tra bene e male (si pensi alla dualità di tanti protagonisti miyazakiani, come Senza Volto), attraverso il bellissimo personaggio del gatto Daijn (fig.2). Vera anima del film, Daijin colpisce il cuore dello spettatore con la sua istintività irriducibile, una sorta di naturale innocenza. Shinkai gli affida alcuni dei momenti più misteriosi e toccanti: il suo bisogno d’amore è letteralmente “scritto sul corpo”, al punto che di fronte ai sentimenti ostili di Suzume, Daijin sfiorisce e dimagrisce tristemente; e commuove anche la sua spontaneità ludica, il suo tentativo di essere semplicemente gatto, al di là del peso della sua natura divina.

dajin2 -“Io sono un gatto”: Daijin

All’omaggio a Miyazaki, con il suo carico di passato e di miti, Shinkai sovrappone le tensioni e la vitalità della vita quotidiana nella contemporaneità: l’aspetto più affascinante e originale di Suzume è senz’altro la presa diretta sulla vita del Giappone, con un brulicare di personaggi “comuni” (la ragazza del ristorante, la barista, lo studente). Cogliere il fremito del presente è ciò che a Shinkai riesce meglio, e che più lo accomuna alle parallele esperienze di tanti coevi registi giapponesi. I dialoghi e lo humor del viaggio in auto rimandano alle atmosfere del cinema indie, mentre l’osservazione dei gesti più banali si traduce in capacità di universalizzare uno stato d’animo, un sentire. Come nelle opere precedenti, Shinkai è capace di farci sentire tutti dei cosmonauti sperduti, tanto la città viene immersa in un infinito di cielo e stelle, segnali di vita lontana. L’esistenza pare racchiudere una promessa verso la quale si anela con grande sofferenza; ponti, strade, passaggi a livello sono i segni di una perpetua “erranza” cui sembriamo destinati; telefoni cellulari spalancano solitudini e amplificano i distacchi. Aleggia, su tutto, la presenza pudica di un sogno amoroso concepito come un sentimento puro e doloroso, fatto di desiderio e assenza.

Oltre alla quotidiana alienazione, tra lavori pressanti, pendolarismi, competitività sociale, Shinkai è sensibilissimo nell’oltrepassare la barriera del visibile e intercettare quel “ritorno del rimosso” che vive perenne nell’inconscio giapponese: si pensi ai tanti crateri ed esplosioni tipici del suo immaginario, o in questo caso al “Verme dei terremoti” nella cui brutale e squassante potenza si cela non solo la recente memoria dello tsunami ma anche l’incubo dell’atomica.
Lo spirito giapponese rivive i suoi traumi, continua a sentirli tra lo stormire del vento. Un velo nero funebre si posa sull’inconscio collettivo, che l’arte gentile di Shinkai sa tradurre in immagini e fantasie catartiche. Con delicatezza, il regista allestisce, in Suzume, commoventi montaggi in rapida sequenza, in cui vediamo “persone comuni” rese fantasmatiche dalla minaccia incombente: la missione salvifica messa in scena nel film lenisce il dolore per le perdite passate, elabora e trasfigura la sofferenza.
Ciò che rende Shinkai così amato è la sua capacità di materializzare la “condizione dello spirito” giovanile e di trasformare il trauma in futuro. Il suo cinema – ancora in crescita e trasformazione, talora tra precari equilibri – insegue le stelle, spalancando gli occhi sulla meraviglia delle cose, sui fiori mossi dal vento o il luccichio del mare. Come dice Sōta, trafitto dalla luce: “Viviamo accanto alla morte ma chiediamo di vivere ancora.”

Titolo originale: すずめの戸締まり (Suzume no Tojimari); regia: Shinkai Makoto; sceneggiatura: Shinkai Makoto; direzione artistica: Tanji Takumi; musiche: Radwimps, Kazuma Jin’no’uchi; produzione: CoMix Wave Films; durata: 122’; prima uscita in Giappone: 11 novembre 1922; riconoscimenti: 2023 – Festival internazionale del cinema di Berlino, Candidatura per l’Orso d’oro.

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