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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

SHALL WE DANCE? (Shall we ダンス?, SUO Masayuki, 1996)

Speciale Yakusho Kōji – Miglior attore Cannes 2023

di Marcella Leonardi

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Shall We Dance? irrompe nel panorama della produzione degli anni ’90 con uno spirito fresco e nuovo e assolvendo con naturalezza, senza programmaticità, alla necessità di un cinema al contempo giapponese e universale: una condizione di cui lo stesso protagonista, Yakusho Kōji, oggi lamenta la mancanza. In un’intervista a NHK Japan, rilasciata in occasione della sua recente collaborazione con Wim Wenders (nel film Perfect Day, 2023), Yakusho ha dichiarato: “il Giappone deve guardare oltre i suoi confini e realizzare film che attirino un pubblico globale”.

Il contabile di successo Sugiyama vive con moglie e figlia in una bella casa, ma si sente insoddisfatto della propria vita. Una notte, sul treno che quotidianamente lo riporta a casa, Sugiyama osserva l’edificio dove risiede una scuola di ballo e dalle grandi finestre individua la sagoma di una giovane donna esile e aggraziata, la ballerina Mai. Il suo volto malinconico e misterioso lo affascina giorno dopo giorno, finchè Sugiyama varca la soglia della scuola e si iscrive a un corso di ballo per poterla incontrare.

Diretto da Suo Masayuki, il film è incantevole sin dai primi minuti, nel suo porgersi gentile allo spettatore. Un primo piano si posa sul verso shakespeariano che campeggia sopra il palco di una grande sala da ballo: Bid me discourse, I will enchant thine ear; poi la macchina da presa fa una panoramica sui ballerini, quasi danzando con loro, mentre una voce fuori campo spiega la mentalità giapponese nei confronti del ballo, guardato con sospetto: “In un paese in cui le coppie non camminano mano nella mano e ancor meno dichiarano “ti amo”… l’idea di abbracciarsi e ballare in pubblico è troppo imbarazzante e guardata con vergogna.”Una mentalità che Naruse esprimeva con chiarezza nel film Angry Street (1950), in cui le ballrooms erano il luogo della corruzione, della perdita dei valori e della purezza, e sede di una lascivia importata dall’occupazione americana.

Con dolcezza e pudore, il regista Suo sovverte questa visione tradizionalista (sebbene al cinema classico sia dichiaratamente molto legato) e realizza una bellissima operazione di congiunzione tra culture differenti – quella orientale e quella occidentale – arrivando al cuore dei bisogni umani: quello del sogno e del desiderio. Una congiunzione ideale racchiusa già nel titolo originale, che unisce inglese e giapponese stringendoli in un passo di danza: “Shall we ダンス?”, ma anche nell’incipit del film, diviso tra internazionalità (il valzer iniziale, filmato con lunghe riprese circolari) e il particolarismo tipicamente giapponese di un piccolo vicolo costellato di bar, inquadrato frontalmente (foto 1 e 2).

salaballo Foto 1 – Il valzer

vicolo Foto 2 – Il vicolo

Le giornate di Sugiyama trascorrono identiche, sospese tra casa e ufficio, in un’apparente quadro “di successo”, ma il suo sguardo è velato di malinconia. L’uomo ha una mera funzione economica, gli scambi verbali in famiglia sono brevi e privi di significato; e altrettanto aride e abitudinarie sono le sue ore da impiegato. Il treno notturno su cui sale quotidianamente, con i paesaggi trasversali sulla città illuminata e la seduzione di una vita altra che scorre fuori dal finestrino, lo spinge a disobbedire al proprio destino segnato; Sugiyama individua nel volto di Mai un sogno cui aggrapparsi: i suoi occhi si fanno irrequieti, il momento del passaggio davanti alla scuola diviene l’unico istante autentico e significante della sua esistenza.

Il regista crea abilmente, ma anche con affetto sincero, un’aura onirica che riveste quei pochi, magici secondi: il cielo buio, le luci colorate, il viso femminile triste e perfettamente definito, che appare quasi rubato al tempo (foto3). Viviamo in prima persona il turbamento di Sugiyama, interpretato dal bravissimo Yakusho Kōji, che dà al suo personaggio una fragilità malinconica e una sottile paura tangibile, ma anche l’insopprimibile tensione del suo anelito (foto 4). Lo sguardo di Yakusho esprime la rinascita attraverso la possibilità. La sua fuga dal reale si rivela leggera e musicale, perché staccarsi dalle miserie del quotidiano equivale a “imparare a volare”.

mai Foto 3 – Mai alla finestra 

sguardoFoto 4 – Il sogno di Sugiyama

Spinto dal desiderio, Sugiyama trova il coraggio di scendere dal treno e aprire la porta del proprio sogno. Questo ingresso ha il sapore di una iniziazione che solo un attore meraviglioso come Yakusho Kōji poteva rendere con tanto commosso stupore, ma allo stesso tempo con la dignità composta e l’emozione trattenuta di chi, nelle proprie illusioni, entra silenziosamente, senza farsi notare.
Suo Masayuki da questo momento trasforma il suo film in qualcosa di incantevole e inafferrabile, tra il ricordo dei vecchi musical americani (nostalgie di Minnelli e Donen, percepibili nell’eccentricità delle figure umane messe in gioco, ciascuna delle quali riscatta nella musica i fallimenti dell’esistenza) e la contemporaneità, viva e presente, di un paese alla ricerca di un oltre, al di là delle pressioni sociali e delle ferre regole (matrimonio, carriera) della comunità.

La bellezza del film di Suo risiede nella congiunzione tra l’irrealtà dello script – che trasforma, hollywoodianamente, un ingessato salaryman in un uomo capace di danzare – e la verità dell’esistenza umana da sempre stretta nella morsa del sacrificio. Il regista fa della scuola di ballo una metafora della danza che ciascuno di noi vorrebbe danzare: lo stesso spazio della scuola viene esplorato in modo da farcelo percepire soggettivamente, quasi fossimo noi stessi a compiere passi vertiginosi, rotazioni, provando la gioia sensibile di “staccarci da terra”; e soprattutto Suo ci trasmette l’emozione dell’incontro con l’altro trasfigurandolo nell’armonia di un passo, o in un abbraccio stilizzato tra due corpi che cercano di comunicare (foto 5 e 6).

dance1 Foto 5 – Primi passi con Mai

dance2 Foto 6 – Il gruppo di principianti

Rielaborando con originalità i codici della commedia, Shall We Dance? ci pone di fronte a caratteri essenziali nella lotta quotidiana per l’esistenza: il ballerino sovrappeso e insicuro, l’insegnante anziana che sfugge agli anni continuando a ballare, l’impiegato che si trasforma in grottesco performer di ballo latino con tanto di parrucca, la giovane insegnante disillusa e cinica; ma su tutti domina la presenza di Sugiyama, che sboccia davanti ai nostri occhi, togliendo i panni del grigio marito e impiegato per trasformarsi in un gentleman senza tempo, trasformato dalla gioia del ballo e rinnovato dai sentimenti. C’è, nei sospiri di Sugiyama, nelle sue esitazioni, nella malinconia di un amore evanescente e impossibile, eppure così ardente, quella dolcezza rassegnata che caratterizzava le protagoniste di Naruse (in particolare Hara Setsuko di fronte a Nakadai Tatsuya nella sala da ballo di Daughters, Wives and a Mother, 1960, foto 7 e 8): solo che, questa volta, la fragilità è maschile.

primopiano Foto 7 – Fragilità delle illusioni: Sugiyama

hara Foto 8 – Fragilità delle illusioni: Hara Setsuko nei panni di Sanae

Le ultime scene ci lasciano con il dolceamaro di una romance elusiva, e con il probabile ritorno del protagonista a una vita “normale” e alla famiglia. Ma il film conserva l’argento di un cinema-sogno, capace di elevarci e regalarci l’intuizione di un sé più pieno e più vero.
Puro entertainment secondo la lezione hollywoodiana, Shall We Dance? resta intimamente giapponese soprattutto nelle gag, fondate su un certo surrealismo e sull’abitudine alla “ripetizione”, in una sequenza di variazioni della stessa situazione comica. Questa creazione di assonanze e rime interne è uno dei segni distintivi del cinema di Ozu, che Suo ha dichiarato di amare profondamente; un amore che si esprime anche nel gusto per le ellissi e per le momentanee sospensioni astratte, condensate in quadri simmetrici e geometrie; ma il suo film è l’opera di un autore che ha assorbito la cultura europea e americana, e che sulle differenze ha deciso di librarsi, in nome di un ideale comune a tutti gli esseri umani: la liberazione dei propri desideri. 

Sugiyama si concede un ultimo ballo con l’amata Mai (foto 9, 10, 11, 12): la luce lo cattura, gli sguardi si incrociano, colmi di commozione; la danza finale è il trionfo del sogno, un cheek-to-cheek in paradiso, come Astaire e Rogers. “Shall We Dance?” Forse non tutto è perduto.

finale2Foto 9
  finale3Foto 10

finale4Foto 11

finale1Foto 12

Titolo originale: Shall we ダンス?; regia e sceneggiatura: Suo Masayuki; fotografia: Kayano Naoki; montaggio: Kikuchi Junichi; musica: Suo Yoshikazu; interpreti e personaggi: Kōji Yakusho (Shohei Sugiyama); Kusakari Tamiyo (Mai); Naoto Takenaka (Tomio Aoki); Mitsumoto Sachiko (Fuyuko); produzione: Tōhō; prima uscita in Giappone: 27 gennaio 1996; durata: 136; riconoscimenti: Japanese Academy Awards (Best Film, Best Actor, Best Actress, Best Art Direction, Best Cinematography, Best Director, Best Editing, Best Lighting, Best Music Score, Best Screenplay, Best Sound, Best Supporting Actor, Best Supporting Actress, Newcomer of the Year)

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