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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

LESSON IN MURDER (Shikei ni itaru yamai, SHIRAISHI Kazuya, 2022)

SPECIALE NIPPON CONNECTION
Francoforte 6 – 11 giugno 2023

di Davide Morello

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Tratto dal romanzo di Kushiki Ryū, Lesson in Murder è un thriller psicologico che alterna classicamente scene d’aula giudiziaria e parlatorio in una ricostruzione dei fatti tramite l’assiduo uso del flashback, che non condurrà però a chiarire pienamente l’articolata vicenda.

Masaya è uno studente universitario e ha un rapporto conflittuale con il padre il quale, a detta del ragazzo, si vergogna di lui. Riceve una lettera dal panettiere con cui trascorreva i suoi unici momenti di libertà quando era piccolo. L’uomo gli scrive dal carcere dove è condannato a morte per l’omicidio di ventitrè adolescenti e di una donna ventiseienne. Confessando con fredda lucidità e naturalezza di averne uccisi otto, nega di essere il carnefice  della nona vittima adulta e chiede a Masaya di indagare, indirizzandolo dapprima verso il suo legale da cui prenderà poi le distanze. Masaya, nella sua indagine, nutrirà dei dubbi su sé stesso, sulla sua famiglia e sul legame che intrattiene con il serial killer. 

È un film sulla violenza nelle sue svariate forme: quella psicologica e familiare, a partire dal rapporto che Masaya intrattiene con il padre; quella che subisce la madre, trattata come una serva, ma anche quella che subiscono i due fratelli Kanayama da parte del killer; quella estrema della tortura praticata dal sadico Haimura, di cui non può farne a meno, e che condiziona l’agire di Masaya il quale, in uno scatto d’ira, per poco non uccide un passante poco gentile; quella degli abusi sessuali a cui si fa riferimento durante l’indagine e in cui la stessa madre di Masaya è coinvolta. 

È il ritratto cinico di una società indifferente alla vita, secondo le riflessioni dello stesso Haimura, le cui testimonianze si sovrappongono, in una soluzione di montaggio sonoro, ad una lezione universitaria sul concetto di “Disperazione” in Kierkegaard, di come la persona possa ignorare il proprio Ego e possa essere incapace di decidere. Infatti Masaya farà più volte degli incontri con un misterioso personaggio chiave che gli chiederà di decidere per lui. È Itsuki Kanayama, un ragazzo con disturbi, già vittima di Haimura, utile come capro espiatorio, per confondere i sospetti.

Un film che deve molto alla recitazione dei protagonisti, alla loro doppia personalità che poggia sul loro presunto legame. Masaya scoprirà infatti che il serial killer potrebbe essere il suo vero padre del quale riflette alcune somiglianze: sarà la madre a riconoscerle in un primo momento, poi ancora in chiusura, quando si scopre che la fidanzata Akari è a conoscenza dei fatti e gli chiede se voglia strapparle le unghie: pratica cara a Haimura che le colleziona, prima di spargerle come petali nel canale. 

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Il doppio è una tematica centrale che riguarda i personaggi, le loro relazioni, ma anche la narrazione, che procede per flashback, proiezioni mentali soggettive, fino a raggiungere sfumature surreali e versioni contrastanti dei fatti. Non a caso l’affabile Haimura, quando si presenta amichevolmente e ludicamente ai due giovani fratelli che diventeranno sue vittime, è interrotto nella sua lettura di Le Metamorfosi di Kafka. Evidente sin da subito è la doppia personalità del serial killer, ma anche quella di Masaya, entrambi ritratti con degli sguardi fissi, freddi, smarriti, soprattutto in parlatorio dove visivamente le loro figure si sovrappongono nel gioco di riflessi, dove le loro mani si toccano e si stringono ignorando simbolicamente il vetro di separazione, che altre volte viene visivamente scavalcato; dove vengono proiettate sul muro le fotografie dei ragazzi uccisi brutalmente o dei ricordi, in una atmosfera onirica, accentuata da un ricercato contrasto di luce, che raggiunge tonalità espressioniste come durante le torture. 

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È la soggettività di Masaya che si impone in queste sequenze, la stessa che guida la narrazione sin dall’esordio, che si intreccia con le varie testimonianze, e proietta lo spettatore in una dimensione sospesa, come suggerisce un tipico stilema del film: l’uso del ralenti sovrapposto alla velocità naturale. Anche quando, nella ricostruzione degli eventi, Itsuki, seduto nella sala d’attesa del carcere, manifesta la sua dissociazione in un’alterazione dell’immagine a più velocità. Una dimensione sospesa, come la verità dei fatti, che non può essere accertata, come il reale rapporto fra i due, confermato e poi rimesso in dubbio nell’ultimo confronto in parlatorio. La stessa necessità delle indagini pare futile, quando la condanna a morte è stata già inflitta e accettata dal colpevole.


Titolo originale: Shikei ni itaru yamai; regia: Shiraishi Kazuya; sceneggiatura: Kushiki Ryū, Takada Ryō; fotografia: Ikeda Naoya; interpreti e personaggi: Abe Sadao (Haimura Yamato), Mizukami Koshi (Kakei Masaya), Iwata Takanori (Kanayama Itsuki), Miyazaki Yu (Kano Akari), Nakayana Miho  (Kakei Eriko); produzione: Fukase Kazumi, Nagai Takuro, Hori Shintaro; durata: 128′; uscita in Giappone: 6 maggio 2022

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