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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Close-knit (Kareka ga honki de amu toki wa, OGIGAMI Naoko, 2017)

Speciale Ogigami Naoko

di Davide Parpinel

close-knit-ogigami

Una mamma impedisce al figlio poco più che un bambino, di stringere amicizia con una sua compagna di classe. Allora il ragazzino le domanda il perché di questa scelta e la madre risponde: «Perché la famiglia in cui vive non è normale». A questo punto il figlio le domanda: «Cos’è normale?»

Tomo è una ragazzina di undici anni che deve badare a se stessa. Come se non bastassero i problemi adolescenziali-sociali che ha a scuola, a casa praticamente vive sola perché la madre è troppo impegnata nel suo lavoro che le porta via l’intera giornata. Un giorno definitivamente scompare e quindi Tomo è costretta a chiedere aiuto e supporto allo zio Makio, il fratello della madre il quale vive con Rinko una donna transessuale. In realtà è una donna a tutti gli effetti, le manca solo di poter cambiare il suo status sociale all’anagrafe. Tomo in questa nuova famiglia vive molto bene, anche perché Rinko ha una sensibilità e una particolare attenzione che conquista subito la ragazzina. Tutto procede al meglio, ma la società nei panni della madre di un compagno di classe di Tomo, i suoi stessi compagni e i servizi sociali, cercano di rompere il nuovo equilibrio famigliare. Come se non bastasse, poi, torna nella vita di Tomo anche sua madre. 

Ecco appunto, cos’è normale? Ogigami Naoko avanza la sua risposta in merito alla questione di famiglia, di normalità e di contemporaneità. La famiglia denominata normale è quella costituita da una mamma e da un papa di sesso, rispettivamente, femminile e maschile? Se la risposta è sì, anche il nucleo famigliare che accoglie Tomo, ragazzina caparbia e già grande per la sua età, per quanto sia perfettamente calata nei suoi 11 anni età in cui comincia a scoprire se stessa, è composto da una donna e un uomo. Se la seconda figura è rivestita dallo zio, la figura femminile è ricoperta da Rinko, uomo solo per lo stato, per la legge, per l’ordine costituito, ma in tutto e per tutto donna. Questo si capisce dalla vicinanza materna, dalla comprensione, dal gioco di dialogo e complicità che lei instaura con Tomo, sfruttando soprattutto l’espediente del ricamo che coinvolge anche il compagno. L’atto del lavoro a maglia serve a placare la rabbia di Tomo che emerge di fronte all’ignoranza sociale, e, allo stesso tempo, unisce i tre componenti del nucleo famigliare nel realizzare una missione appartenente a Rinko. La donna, infatti, porta avanti un suo rito, una sua missione rituale che prevede di cucire a maglia 108 – numero importante nella religione buddhista – falli imbottiti di cotone per poi essere bruciati a simbolo del definitivo saluto alla sua virilità mai voluta. La missione, quindi, coinvolge tutti quanti e li tiene assieme in un atto di cooperazione famigliare intimo. In questi ritratti che Ogigami filma accostandosi ai tre e sostenuta da una musica lenta e delicata, si contrappone invece la famiglia “normale”, appunto, quella del ragazzino suo compagno di scuola e della madre naturale stessa di Tomo. Famiglie distrutte e, se tenute insieme, pervase dalla paura del diverso e di ciò che non è ordinario. Su questo doppio binario (famiglia consolidata in disfacimento-famiglia basata sul vero amore in crescita) procede il film, senza mai cedere alla scena madre, all’isteria o al dramma più acceso. La regia di Ogigami è sempre misuratissima, quasi a sottrazione, non c’è, ma c’è e si percepisce non solo nell’uso della musica che puntella i momenti di maggiore pathos, ma soprattutto nella scelta della parola. I momenti di maggiore comprensione del significato del film e di sviluppo narrativo sono quelli di confronto tra Tomo e Rinko, tra Tomo e lo zio, tra Rinko e Makio o anche tra la ragazzina e il suo compagno di classe in particolare nella scena in cui quest’ultimo è ricoverato in ospedale a seguito del suo tentativo di suicidio. Come può, infatti, sua madre capire la vera natura di suo figlio se spiega il concetto di “normalità famigliare” al bambino con la proibizione? Tornando all’elemento del dialogo, nei confronti si esprimono concetti universali come l’amore, il sentimento, l’idea di relazione emotiva (tra gli adulti e Tomo) e l’idea di cosa sia giusto o sbagliato per se stessi (il dialogo tra i due ragazzini) che vedono sempre Tomo imparare e scoprire, conoscere la prima idea e saper discernere cosa è davvero giusto. Sono tutti mattoncini che costruiscono il suo essere di preadolescente e la prepararono al ritorno della madre. Quando la donna si ripresenta nuovamente nella vita della figlia, distruggendo così i sogni di famiglia di Rinko e Makio, Tomo reagisce prima istintivamente, per poi ricordarsi quello che ha imparato dalla sua altra famiglia. Il tema, infatti, di Close-knit sta proprio in questo, in  questo legame. Sullo sfondo si muovono le tematiche LGBT e la paura della società giapponese, la sua chiusura, la non possibilità di espressione; nel particolare, però, il punto di analisi di Ogigami è sul rapporto madre-figlia che infatti si articola nella metafora del seno. Il corpo di Tomo si sta sviluppando e intanto ha bisogno di un riferimento, di un esempio, di uno sguardo a qualcosa di simile. La madre non c’è e quindi interviene Rinko che con lo strumento del ricamo le permette di avere un modello a cui appoggiare il suo bisogno di affetto, un modello verso cui esprimere le sue fragilità di donna in formazione. 

Come detto in precedenza, Ogigami mantiene un tatto e una sensibilità unici nella cinematografia contemporanea nell’affrontare queste tematiche difficili e spinose. Non esiste il dramma in questo film, c’è la consapevolezza, la scoperta, il mettere insieme gli elementi che portano alle conclusioni. C’è equilibrio e così anche quello che può apparire come drammatico è disinnescato da un rispettoso accostarsi della regista. La sua macchina da presa è fissa nell’inquadrare i momenti del film, salvo muoversi con movimenti lenti in profondità che poi circondano i personaggi durante il confronto e il dialogo, come a voler entrare nelle parole dei protagonisti e lasciare che si imprimano nella mente di chi guarda. Questa scelta linguistica si allinea con le caratteristiche del cinema di Ogigami, quali il tono calmo, il minimalismo, una regia netta e senza fronzoli, personaggi molto diretti al fine di narrare una storia emozionante che vive di naturali spunti narrativi. Ciò che si vede sullo schermo potrebbe essere, infatti, una storia vera. Queste scelte rendono Close-knit un film semplice e diretto, immediato e che punta all’empatia con lo spettatore, fino al punto di domandarsi se sia davvero così normale, chiedersi cosa sia normale quando si parla di famiglia. 

Titolo originale: 彼らが本気で編むときは (Kareka ga honki de amu toki wa); regia: Ogigami Naoko; sceneggiatura: Ogigami Naoko; fotografia: Shibasaki Kōzō; montaggio: Fushima Shin’ichi; musiche: Yoshihide Otomo; interpreti: Ikuta Toma (Rinko), Kakihara Rinka (Tomo), Kiritani Kenta (Makio), Mimura Rie (Hiromi); Koike Eiko (Naomi); Kadowaki Muti (Yuka); produzione: Amano Mayumi, Igarashi Masashi, Inoue Hajime, Ishiguro Kenzô, Kobata Kumi, Takagi Noriaki; distributore: Suurkiitos; prima uscita in Giappone: 25 febbraio 2017; durata: 127’

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