Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico
Ryūji (id., KAWASHIMA Tōru, 1983)
Sonatine Classics
di Paolo Torino
La scomparsa prematura di Kaneko Shōji, che non ha mai visto debuttare il film nelle sale, sembra sovrapporsi al destino del suo doppio su schermo, Ryūji. Quest’ultimo è un personaggio totalmente avulso dalla narrazione: è ribelle fino alla fine. Abbandona la yakuza perché non vuole più vivere in quel modo, non vuole più ottenere tutto e subito. Abbraccia la vita da cittadino comune per poi scoprire che anche quella routine non fa per lui. Tradisce ogni suo ideale e, per certi versi, tradisce anche la narrazione stessa, astraendosi dal finale. Ma Ryūji, probabilmente, non è nemmeno di questo mondo: è un fantasma che si aggira tra le strade nipponiche senza una meta, senza un obiettivo o scopo ben preciso.
Ryūji tenta di abbandonare la yakuza e di vivere una vita tranquilla con sua moglie Mariko e sua figlia Aya, ma essendo abituato a guadagnare soldi facili, trova difficoltà nel lavorare duro per una paga misera. Dopodiché cercherá di tornare dove si sente a casa (traduzione e adattamento della sinossi da Imdb).
L’opera prima di Kawashima Tōru, Ryūji, è sembrata essere una stella cometa che ha illuminato il firmamento del cinema nipponico per un breve istante, scomparendo subito dopo. Fu un esordio folgorante e il sodalizio artistico con Kaneko Shōji sembrava essere consolidato prima ancora che i due artisti lo immaginassero.
Il volto di Shōji, infatti, ben si sposa con i primi piani di Kawashima. Primi piani che, ogni volta, drammatizzano ed enfatizzano i tratti somatici dell’attore, mettendo in risalto il conflitto interiore che affligge il personaggio, costantemente combattuto tra la vita da onesto cittadino e la vita da yakuza. Questa dicotomia, però, è trasportata su schermo in modo hitchcockiano, mettendo in contrasto il verbo con l’espressione, il detto con il fatto. Ryūji, infatti, dice costantemente delle cose ma la camera ne mostra altre: emblematiche in questo senso sono le sequenze in cui il protagonista dialoga con sua moglie, dove lo sguardo di Ryūji tradisce rimorso e pentimento a dispetto delle parole di finta redenzione.
Anche le musiche lavorano in questa direzione e le partiture jazz che fanno da colonna sonora sembrano essere estensione diretta di Ryūji. Quando quest’ultimo vagabondeggia per i vicoli della cittadina, infatti, quei ritmi risuonano come se il paesaggio attorno a lui prendesse vita e si ammutoliscono, invece, quando il campo/controcampo preme sulla tensione tra Ryūji e sua moglie, enfatizzando ancora più la carica drammatica della sequenza. Possiamo dire, in effetti, che Kawashima lavori di sottrazione e asciughi ogni inquadratura da elementi che possano in qualche modo inficiare la carica drammatica.
La figura di Ryūji, invece, si completa con il finale che lo vede uscire di scena incamminandosi verso la metropoli, dando le spalle alla camera. Per certi versi il controcampo concettuale del finale di Sentieri Selvaggi (The searchers, John Ford, 1955), in cui John Wayne vaga verso l’orizzonte lasciando una scia di rimpianti sul suo cammino. In questo finale culmina il discorso sull’inquadratura accennato sopra: la camera si sofferma sul volto di Ryūji, la musica si ferma, la città si sfoca. Ogni elemento serve per mettere in risalto il volto afflitto del protagonista.
A questo punto è lecito domandarsi se il disclaimer sulla scomparsa prematura di Kaneko Shōji posto prima dei titoli di coda avesse avuto un significato diverso se posizionato dopo il finale. Se la scelta presa da Ryūji di camminare verso una meta ignota, vestito di bianco come un fantasma e completamente dissociato dalla città fuori fuoco, sia stata una macabra coincidenza o uno dei tanti casi in cui il cinema imita la vita.
Titolo originale: 竜二 (Ryūji); regia: Kawashima Tōru; Sceneggiatura: Kaneko Shōji, Kawashima Tōru; fotografia: Kawagoe Michihiko; colonna sonora: Tokyo Sound; personaggi e interpreti: Kaneko Shōji (Ryūji), Nagashima Eiko (Hanashiro Mariko), Momo (Aya), Kita Kōji (Hiroshi); produttori: Production Ryūji, Toei Central Films; durata: 93’; data di uscita in Giappone: 29 ottobre 1983.