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Tsurugidake: ten no ki (劔岳 点の記, The Summit: A Chronicle Of Stones to Serenity)

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Tsurugidake: ten no ki (劔岳 点の記, The Summit: A Chronicle Of Stones to Serenity). Regia: Kimura Daisaku. Soggetto: dal romanzo di Nitta Jirō. Sceneggiatura: Kikuchi Atsuo, Kimura Daisaku, Miyamura Toshimasa. Fotografia: Kimura Daisaku. Interpreti: Asano Tadanobu (Shibasaki Yoshitarō), Kagawa Teruyuki (Uji Chojirō), Matsuda Ryūhei (Ikuta Shin), Miyazaki Aoi (Shibasaki Hatsuyo), Yakusho Kōji (Furuta Morisaku), Nakamura Toru (Kojima Usui), Suzuki Sawa (Uji Sawa), . Produttori: Inaba Naoto, Matsuzaki Kaoru, Tsunoda Asao per Tōei. Durata: 139′. Uscita nelle sale giapponesi: 20 giugno 2009.
Link:  Sito ufficialeEric Evans (Toronto JFilm PowWow)
Punteggio ★★★1/2   
 “Monte Tsurugi: cronaca dei punti di triangolazione” (o cronaca delle pietre nel titolo internazionale). Il sottotitolo “Cronaca dei punti” si riferisce all’abitudine di registrare la cronaca degli avvenimenti legati alla collocazione dei punti di triangolazione, strumenti topografici necessari per ottenere mappe. E’ il 1907 e in un Giappone uscito dal feudalesimo e unificato già da 40 anni, la mappa del territorio è ancora in fase di compilazione. Per completarla, occorre collocare dei punti di triangolazione nella zona del Tateyama; ma soprattutto occorre affrontare la montagna più terribile, l’ultimo picco ancora inviolato: il Monte Tsurugi. Ad inseguire la gloria di questa conquista non è solo il Dipartimento di Geodesia dell’Esercito Imperiale, da cui dipende la squadra di topografi guidata da Shibasaki Yoshitarō, il protagonista; ma anche il neonato Club Alpinistico Nazionale, un gruppo di dilettanti guidati da Kojima Usui. Shibasaki ama, rispetta e teme la montagna, ma ha un lavoro da svolgere. Il film narra il destino della sua spedizione.
Il dovere di riportare dà al protagonista l’occasione per riflettere sulla fatica quotidiana, sulla bellezza e al tempo stesso la crudezza della natura, su quale senso dare al proprio lavoro. L’eroismo di Shibasaki non è dovuto a sete di gloria, ma piuttosto all’impegno, fino al punto di mettere in gioco la vita, per il bene della comunità. La posta in gioco è nientemeno che la formazione nel popolo giapponese del proprio sé attraverso la conoscenza del territorio. Un sentimento che animava anche Shiga Shigetaka con il suo trattato “Teoria del paesaggio giapponese”, di cui Shibasaki è avido lettore.
L’impresa è difficile ma “se nessuno prova, la strada non verrà mai aperta”, concetto chiave del film affidato al personaggio di Uji Chojirō, la guida locale. Anche lui ha una missione, e per portarla a termine è disposto anche ad infrangere un tabù: secondo la credenza religiosa popolare quella montagna è inviolabile.
Una serie di contrapposizioni: la religione intesa come dogmatismo e superstizione contro quella che è via di saggezza; il senso di responsabilità del professionista contro l’arroganza del dilettante; la tradizione, radicata nel territorio, contro l’innovazione importata dall’estero; l’impazienza del giovane che vorrebbe vincere subito e non apprezza la pazienza del lavoro, contro la consapevolezza che è questa invece la vera vittoria. Non è importante quello che fai, ma la serietà che ci metti e il nobile scopo che ti sospinge. Di fronte alla forza di questa motivazione anche il rivale non può che riconoscere la futilità della competizione e della ricerca della mera affermazione personale.
Così, invece di risolversi con un confronto diretto e dialettico, sorprendentemente quasi tutti i conflitti confluiscono naturalmente in un equilibrio armonico, una peculiarità, questa, tipica del modo di sentire giapponese. La natura con la sua bellezza e il suo rigore domina e accoglie tutto al suo interno; la strada che porta alla vetta non è la sfida ma entrare in comunicazione con questo equilibrio. Anche la vittoria non è mai assoluta, lascia sempre un retrogusto amaro; non è mai definitiva: l’indomani c’è ancora lavoro da fare.
Solo l’esercito imperiale rimane estraneo, escluso da questa armonia, chiuso com’è nel palazzo del potere e nella rigidità delle uniformi e della burocrazia gerarchica; ma anche lì c’è il seme del cambiamento: davanti al piccolo generale si erge idealmente il giovane capitano, che accetta di dividere la branda e schierarsi con Shibasaki.
Il regista Kimura Daisaku afferma che quest’opera non è un film sulla montagna; piuttosto è un racconto di emozioni e sentimenti umani e un film sulla vita, dove la montagna costituisce lo sfondo. Ma la grandiosità del soggetto e la sua lunga esperienza come direttore della fotografia impediscono all’ambientazione di restare sullo sfondo e la montagna diventa uno dei personaggi principali del film. Kimura esordisce alla regia dopo una lunga carriera: ha iniziato come assistente operatore dal 1958 e ha lavorato in cinque film di Kurosawa Akira. Negli anni è diventato direttore della fotografia lavorando con attori e registi importanti, ed è stato anche il direttore della fotografia della troupe giapponese nel film di Zhang Yimou “Mille miglia… lontano”.
Tsurugidake era il film che aveva sempre sognato di fare. Girato in sequenza e in loco, senza l’uso di set alternativi e senza ricorso alla computer grafica, ha richiesto due anni di riprese. Ne è valsa la pena: si può ammirare tutta la bellezza delle montagne della zona in ogni stagione. Semmai il film risente di un’impianto troppo tradizionale, dove la tecnica di ripresa è un po’ troppo datata. Kimura, magistrale nell’effetto documentaristico delle inquadrature descrittive, rivela qualche impacciatura alle prese con la fiction; a volte la reazione degli attori risulta ritardata rispetto alla fluidità dell’azione. 
Ottimi invece tutti gli interpreti, a partire dai camei delle protagoniste femminili, discrete e silenziose presenze al fianco dei personaggi maschili (Suzuki Sawa e soprattutto una incantevole Miyazaki Aoi, che con la sua grazia riesce a non farsi dimenticare per tutto il film nonostante il numero limitatissimo delle sue scene). Asano Tadanobu impersona perfettamente il taciturno, riservato, imperturbabile Shibasaki, rivelandosi ormai un attore a tutto tondo, non più relegato ai ruoli eccentrici dei film indipendenti che hanno segnato la prima parte della sua carriera. Ma l’interpretazione più convincente e più toccante è quella di Kagawa Teruyuki nella parte dell’umile guida alpina, che gli ha guadagnato un premio come miglior attore non protagonista ai Japan Academy Awards. Si muove agilmente con la sua esperta compostezza ed esalta la drammaticità dei pochi confronti diretti presenti nel film, che sono anche i momenti forti: sia con la forza della natura sia con il figlio.
La musica è un altro elemento fondamentale, benché un po’ scontata per un film che parla di natura: le Quattro Stagioni di Vivaldi, l’Adagio di Albinoni; ma la scelta della musica classica si rivela di sicuro effetto ed esalta perfettamente l’epicità delle situazioni. [Nadia Faienza]



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Un commento su “Tsurugidake: ten no ki (劔岳 点の記, The Summit: A Chronicle Of Stones to Serenity)

  1. Grazie di aver inserito la recensione di questo film. Chi fosse interessato ai sottotitoli italiani, può trovarmi nel mio livejournal.

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