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SONATINE CLASSICS

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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Sono Sion’s BAD FILM (園子温のBAD FILM)

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BAD FILM. Regia, soggetto, sceneggiatura, montaggio: Sono Sion. Interpreti: Sono Sion, il gruppo TokyoGaGaGa. Durata: 167′. Anno di produzione: 1995 (incompiuto). Anno di montaggio e uscita in DVD: 2012.

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Siamo nel 1997 e la zona di Kōenji, a Tokyo, è contesa da due gang, una composta di immigrati cinesi e l’altra dai cosiddetti «Kamikaze», un gruppo ultranazionalista giapponese che vuole liberare il suolo nipponico dal pericolo degli stranieri. Il primo confronto tra le due bande avviene sull’affollatissima linea ferroviaria Chūo, e poi continua per le strade di Tokyo, con scontri ma anche comizi della gang giapponese, il più grande dei quali si svolge a Shinjuku. Sugiyama è lo strampalato e anfetaminico boss dei Kamikaze che spesso e volentieri gira col suo feticcio, una testa di maiale con cui intrattiene un rapporto molto personale. Il suo vice, Shirō, è un giovane ribelle con tendenze distruttive e omosessuali, che nella sua follia cerca di proteggere la sorella minore Kana. La timida ragazza, durante uno degli scontri più violenti fra le due fazioni, finisce per incontrare Maggie, una giovane e solitaria cinese. Fra le due si instaura un rapporto intimo molto speciale, un amore che riesce a scavalcare anche la barriera linguistica. Purtroppo però, dopo una specie di tregua sancita da una parte terza, un vecchio quanto improbabile capo mafia, l’odio degli uni verso gli altri porterà a un inevitabile e tristissimo finale dove i membri dei due gruppi si massacreranno a vicenda.
Girato nel 1995 ma completato solo nel 2012 a causa di travagliati problemi finanziari, e forse anche dell’impegno che in quegli anni Sono dedicava al gruppo TokyoGaGaGa, di cui questo film è una preziosa testimonianza, Bad Film è un’opera di quasi tre ore, risultato di un lavoro di montaggio su un materiale grezzo di circa centocinquanta. Il film è molte cose insieme, in qualche modo continuazione del suo Bicycle Sighs, di cui si ripresentano qui alcuni attori/personaggi, ma anche un happening continuo filmato guerrilla style, con gli scontri fra le due fazioni sulla metro, prima, e in uno degli incroci di Shinjuku, poi. Inoltre Bad Film ha molti elementi che caratterizzeranno le opere successive di Sono tra cui la commistione degli stili e un certo gusto per il grottesco e l’orrido di “bassa lega”, come testimoniano le immagini del boss Sugiyama che girovaga e bacia la testa di maiale (vera) per la città. Amatoriale e indipendente, chiassoso e a tratti incongruente, aspetti che lo definiscono sia in positivo, sia in negativo, Bad Film si muove in una zona limite che sembra oltrepassare molte comuni barriere cinematografiche. Il tono è a volte lirico, più spesso sganassone, comico e ridondante, e ricorda le performance del teatro d’avanguardia dei decenni precedenti, come quelle di Terayama Shūji o del gruppo Kyokuba kan, anche per la forte presenza dell’amore e dell’attrazione omosessuali. È questo un ambito che sembra offrire una possibile via d’uscita alle contraddizioni dei personaggi del film. Ma il discorso di Sono introduce valenze che non sono mai univoche. Talvolta i legami omosessuali sono rappresentati volutamente con dubbio gusto e toni circensi, quasi col solo fine di provocare lo spettatore (si vedano i baci poco innocenti che Shirō, lo stesso Sono, scambia con un suo compagno), ma in altri casi queste relazioni assumono un tono più fine e critico, come per il rapporto fra Kana e Maggie, o nella scena in cui uno dei membri del gruppo Kamikaze è torturato proprio perché gay.
Bad Film è un lungo e caotico happeningcinematografico, in certi passaggi anarchico fino alla noia, ma proprio per questo assai potente e capace di trasmettere nei suoi momenti migliori vere scariche di energia e di rabbia.
Come in molti altri lavori del regista, il titolo del film appare sullo schermo dopo alcuni minuti dall’inizio, così come un marchio di Sono è la strutturazione in capitoli separati, quasi a ricordare la forma di un libro, di un romanzo.
Durante le scene di “battaglia” le riprese in 8mm sono vicinissime, schiacciate sui volti dei protagonisti con le piccole videocamere che, quasi inevitabilmente, si vedono spesso, accompagnate da una voce fuoricampo, come una sorta di documentario sui generis. La loro tangibile presenza è giustificata anche dal desiderio del boss Sugiyama di vedere ripresi e documentati i suoi atti di violenza. Ecco così ripassare sullo schermo scene già viste con tanto di fermo immagini, come se si trattasse di film nel film e farsa nella farsa.
Una delle sequenze che più si stagliano in quest’opera fluviale e necessariamente caotica è quella, girata come detto in guerilla style, dello scontro in uno degli incroci più affollati di Shinjuku, che è metafilmicamente documento e testimonianza di una situazione difficilmente replicabile, con i due boss al semaforo rosso che si sfidano al centro dell’incrocio e decine e decine di personaggi che vi si riversano per azzuffarsi. La scena funge anche da fulcro narrativo, stilistico e drammatico dell’intero film per almeno due motivi: uno è l’incredibile corsa/fuga/inseguimento dall’incrocio al ritmo battente delle percussioni con la macchina a mano che ne esalta ed esaspera l’ansia e l’energia, (un vero e proprio topos del regista, come ha dimostrato Adelina Preziosi nel suo saggio Aquiloni senza filo nel vento, in La Filosofia di Tsukamoto Shin’ya,Mimesis 2013); l’altro è che proprio in questa occasione, nel gorgo di violenza che sembra risucchiare l’intera capitale, Kana, sorella di Shirō, incontra la cinese, Maggie. Il passaggio di Kana dalla “parte” dei cinesi per amore, è in un primo momento dettato da una forte curiosità, con la giovane ragazza che comincia anche ad imparare qualche frase di cinese. Ma questo desiderio, che è di fatto una rottura di barriere mentali, è ben presto cancellato e reso inutile dalla violenza nichilista e senza senso di cui entrambe le gang sono vittime. Questo girare a vuoto in un loop fine a se stesso è magnificamente rappresentato in una delle scene finali, quando vediamo Shirō con altri suoi compagni, ormai consapevoli della morte imminente, chiusi in una stanza. Qui, in un tedio senza speranza, essi aspettano che qualcuno li venga ad uccidere, vivendo ciò come l’unico atto liberatorio che può metter fine a quell’insensatezza che è la vita. Un’insensatezza espressa anche dal video che Shirō/Sono guarda continuamente in loop, dove il volo degli uccelli sembra interminabile e portare da nessuna parte. Questo girare a vuoto in un eterno circolo vizioso cambierà solo quando lo schermo televisivo si allagherà di rosso ed il sangue di Shirō coprirà lo schermo.
Il film finisce con le immagini del gruppo Tokyo GaGaGa in un grande happening per le strade di Tokyo – le persone che hanno partecipato al film in un modo o nell’altro sono quasi 2000 – a testimonianza di come Bad Film sia anche, se non soprattutto, un omaggio che Sono, ormai diventato un regista di calibro internazionale, rivolge doverosamente a questa sua importante esperienza passata. (Matteo Boscarol)

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