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Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Umi o kanjiru toki (海を感じる時, Undulant Fever)


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Umi o kanjiru toki (海を感じる時, Undulant Fever).   Regia: Andō Hiroshi. Soggetto: dal romanzo di Nakazawa Kei. Sceneggiatura: Haruhiko Ara. Fotografia: Suzuki Kazuhiro. Suono: Kikuchi Nobuyuki. Personaggi e interpreti: Ichikawa Yūi (Emiko), Ikematsu Sōsuke (Yo), Sakai Madoka (Tokiko), Nakamura Kumi (la madre di Emiko). Prodotto da: Narita Naoya, Onishi Yōichiro, Fujimoto Itaru, Konishi Keisuke, Shigemura Hirofumi. Durata: 118 minuti. Uscita nelle sale giapponesi: 13 settembre 2014.
Fin dalla primissima sequenza Andō Hiroshi introduce al meglio quelle che saranno le tematiche – e le dinamiche – del suo film, pur non svelandone gli sviluppi. Due ragazzi passeggiano in un parco-zoo e lei ripete più volte che vuole andare a vedere l’orso. Emiko, è una donna che in in un certo senso “chiede”, che ha aspettative sul rapporto con quello che considera il suo uomo. Non riuscirà a vederlo l’orso – così come molte delle sue richieste riguardo il loro rapporto, lo si intuisce, andranno frustrate. Una pioggia improvvisa e uno stacco ci riportano ad un quadro che racchiude i due protagonisti, nudi, seduti l’uno di fianco all’altra. Non potrebbe che essere così: sono due universi che si sfiorano, ma non si comprendono, e i loro sguardi non si incontrano. Lei ricorda il padre, lui non sembra particolarmente interessato, dopo un po’ iniziano a fare sesso e la macchina da presa si muove attorno ai corpi, concentrando l’indagine del loro connubio sull’aspetto che li unisce, il sesso appunto.
Tratto da un romanzo di Nakazawa Kei scritto nel 1978, il film racconta la storia di Emiko, timida studentessa, che si innamora di un compagno di scuola più grande, Yo. Lei è fortemente attratta dal ragazzo e nonostante lui dichiari apertamente di non essere particolarmente interessato a lei come persona, quanto piuttosto al sesso, lei comunque si ostina, adattandosi alla situazione emotivamente sbilanciata. Il tempo passa, Emiko lavora in un negozio di fiori, la storia “malata” con l’uomo continua, malgrado la palese contrarietà della madre di lei. Fino ad un certo momento, quando qualcosa cambierà nella dinamica del loro rapporto costringendo entrambi, ma soprattutto la donna, a prenderne atto.
Undulant Fever è una vicenda intrisa di amour fou, è una ricerca nella dinamica sesso-amore, o anche una analisi dell’amore come gioco di potere. Lei è splendidamente sconcertante – come in ogni storia “malata” che si rispetti – per quanto passivamente consenziente. Lui si riassume come personaggio in quello sguardo sempre obliquo, mai rivolto a lei, che ne rappresenta al meglio l’”impotenza emotiva”, l’incapacità di sentimento. Ikematsu Sosuke è efficace nel ruolo (ricorda a tratti la parte interpretata in Kami no tsuki (Pale Moon, 2014) di Yoshida Daihachi, anche in quel film uno studente insensibile molto interessato al sesso).
Le scene di sesso sono ben costruite e anche creative (a riprova dell’esperienza del regista nel mondo del pinku), ma forse quella che ho preferito riguarda i due ragazzi al tempo della scuola, e, come spettatori, ci è dato di partecipare solo alla preparazione del luogo, mentre avvicinano due panche per poter creare qualcosa di simile ad un giaciglio: il regista decide di racchiudere tutto il resto in un’ellissi, dopo aver abbandonato i suoi personaggi con una ripresa dall’alto.
Le cose nel tempo cambiano tra i due: le riprese in un certo senso anticipano visivamente questa sorta di evoluzione con una serie di inquadrature “congestionate”, che catturano i due mentre si trovano a visitare delle serre. Poco dopo lui dichiara di amarla, vuole vivere con lei. Ma è proprio allora che lei lo tradisce e glielo confessa.
C’è una consapevolezza nuova nello sguardo di Emiko che il regista immortala in un bel primo piano nella sequenza finale del film: poi la macchina da presa si ferma, la donna corre avanti sulla spiaggia. Così come all’inizio a fare da sfondo ai titoli di testa, ritorna l’immagine del mare a chiudere il viaggio emotivo della donna: un accenno al titolo del romanzo forse, o anche la chiara evocazione del senso di mutevolezza, e allo stesso tempo di potenza, del sentire umano. [Claudia Bertolè]
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