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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

Rabu-kon (ラブ★コン, Love Com)

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Rabu-kon (ラブ★コン, Love Com). Regia: Ishikawa Kitaji. Sceneggiatura: Suzuki Osamu (da un manga di Nakahara Aya); Fotografia: Fujimoto Nobunari; Suono: Nishioka Masami; Scenografie: Yoshida Toru; Montaggio: Kakesu Shūichi; Musiche: Kawaguchi Daisuke; Interpreti e personaggi: Fujisawa Ema (Koizumi Risa), Koike Teppei (Ōtani Atsushi), Tanihara Shōsuke (Maitake “Mighty” Kunimi), Tamaki Nami (Nobuko), Kudō Risa (Chiharu) ; Produzione: Burning Productions, Shōchiku, Shūeisha, TV Asahi, Tohokushinsha; Distribuzione: Shōchiku; Durata: 100’; Uscita nelle sale giapponesi: 15 luglio 2006.
Link: Trailer (Youtube)
Punteggio ★★

Risa (Fujisawa Ema) è una liceale più alta della media. Atsushi (Koike Teppei) è un suo compagno di classe viceversa piuttosto basso, per quanto tenti di riscattarsi eccellendo nel club di basket della scuola grazie alla sua agilità. Lei fatica a trovare un ragazzo che non tema di sfigurare di fronte alla sua altezza. Lui ha il complesso opposto: le ragazze lo respingono proprio perché troppo minuto. I due sono amici, amano entrambi scherzare e coltivano interessi musicali in comune, ma il timore, di Atsushi in primo luogo, di apparire agli occhi della gente più come un duo comico che non come una vera coppia, li frena dallo spingersi oltre. Quando Risa scopre di essere innamorata dell’amico e si dichiara a lui, qualcosa si guasta nella loro relazione, complici l’indecisione di Atsushi e l’entrata in scena di un giovane e aitante insegnante (Tanihara Shōsuke) più alto di Risa. Riuscirà Atsushi a fare chiarezza nel proprio cuore e a riconquistarne l’amore dell’amica?
Tratto dal divertente manga di Nakahara Aya (edito in Italia da Panini), Love Com, contrazione di Lovely Complex, è una trasposizione tutto sommato godibile. Film vivace, frivolo e coloratissimo che attinge a piene mani dalla cultura pop nipponica, adottando modalità espressive che, solitamente, più che al cinema appartengono ad altri ambiti (manga e anime, naturalmente, ma abbondano anche i richiami ai linguaggi del varietà, della pubblicità e dei videogame), per lo meno al di fuori del Giappone. Personaggi stilizzati e caricaturali, mimica esagerata, pose statiche ridicolmente innaturali, animazioni kawaii, scritte in sovrimpressione, suoni extradiegetici da sala giochi, stop-frame sul volto dei protagonisti corredati di didascalie e commenti vocali, fanno infatti parte di un bagaglio visivo e sonoro che, se non è (o non è più) patrimonio del solo Giappone, è da lì che in buona parte trova origine. Ma soprattutto, lì esso non costituisce più una modalità espressiva d’eccezione appartenente al campo dell’eccentrico, bensì un insieme di codici ormai perfettamente assimilati dal pubblico di massa (tramite i suddetti media, televisione in primis).
Ne consegue che non c’è nulla di particolarmente originale nelle innumerevoli trovate utilizzate in chiave comica , talvolta anche in maniera brillante e spesso divertente, dall’esordiente Ishikawa, soprattutto se si tiene conto del fatto che, anche nell’ambito più ristretto del cinema, Love-com segue, nella sua opera di contaminazione, precursori quali Koi no mon (2004) di Suzuki Matsuo e Kamikaze Girls (2004) di Nakashima Tetsuya, senza contare, andando più indietro nel tempo, film di Miike come The Happiness of the Katakuris (2001) e gli esperimenti di fusione tra linguaggio cinematografico e televisivo operati da Kitano in Getting Any? (1994). Tali trovate concorrono tuttavia a riavvicinare il film al suo universo, se non all’opera, di origine, salvandolo spesso dall’incombente rischio di scadere in una soap adolescenziale dagli sviluppi non troppo interessanti. Già, perché una volta trasposti sullo schermo e interpretati da attori in carne e ossa, i cliché narrativi che nel complesso del manga venivano riscattati da altri aspetti (sceneggiatura, composizione delle tavole, stile di disegno, gag visive, eccetera) finirebbero per pesare molto di più che sulle pagine del fumetto, se Ishikawa non vivacizzasse il tutto sul piano formale adottando una messinscena sfacciatamente antinaturalistica. L’operazione gli riesce per metà, in quanto comunque, a livello di sceneggiatura, si sente troppo il lavoro di riduzione rispetto all’opera originale, con inevitabile appiattimento dei personaggi principali (in particolare quello di Atsushi), i quali risultano troppo poco sviluppati per suscitare empatia nello spettatore. Il fatto poi che il regista trascuri in larga parte i dettagli sui quali si fonda l’amicizia dei due protagonisti, in particolar modo i riferimenti al manzai, suscita qualche spaesamento, poiché chi non ha letto il manga finisce per non comprendere in cosa consista il forte legame che unisce i due ragazzi, più spesso enunciato nei dialoghi che non mostrato. Poca autonomia rispetto al manga, quindi, ma del resto si parla di una pellicola chiaramente destinata ai lettori dell’opera cartacea.
Gustosi gli immancabili e assurdi cammei di attori famosi: Terajima Susumu interpreta il rapper Umibozu, mentre Tanaka Yōji è un bizzarro conducente di risciò. Se la cava anche la protagonista Fujisawa Ema, al netto del fatto che, a livello generale, gesti ed espressioni degli attori sono stereotipati e sopra le righe secondo la più classica tradizione della commedia giapponese, con esiti più o meno stucchevoli a seconda dei casi. [Giacomo Calorio]

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