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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

DOOR (id., TAKAHASHI Banmei, 1988)

SPECIALE ANNI OTTANTA

di Matteo Boscarol 

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Uno dei punti più alti del breve decennio di attività della Director’s Company, casa di produzione fondata nel 1982 da un gruppo di giovani cineasti la cui età media era di circa trentuno anni, Door è un film di genere graziato da alcune scene diventate leggendarie e che offre svariate letture sullo stato della società giapponese contemporanea. Il film è disponibile presso l’etichetta Third Window Films

Yasuko è una giovane donna che vive in una palazzina residenziale con suo marito, spesso assente, e suo figlio. Infastidita dalle telefonate pubblicitarie e dall’invadenza dei venditori porta a porta, un giorno la donna sbatte la porta sul dito di uno di questi. L’uomo le giura vendetta e comincia a tormentare Yasuko in un crescendo di parossistica violenza.

Fra i nove membri fondatori della Director’s Company, per la maggior parte registi che avevano iniziato la loro gavetta sul finire degli anni Settanta in un’industria cinematografica profondamente mutata e che si sosteneva grazie ai pink eiga e ai roman poruno, figuravano nomi quali Kurosawa Kiyoshi, Sōmai Shinji, Ikeda Toshiharu, Ishii Sōgo e Takahashi Banmei. Proprio quest’ultimo realizza nel 1988 uno dei lavori giapponesi più interessanti del decennio, tanto per la carica di violenta vendetta che mette in scena, tanto per la capacità di stupire lo spettatore grazie al virtuoso e sanguinolento finale, ma anche, se non soprattutto, per gli innumerevoli spunti di riflessione che, fin dal titolo, Door riesce ad evocare. 

Fin dalle primissime scene il film ci introduce nel paesaggio in cui si svolgeranno le vicende: la palazzina residenziale vista da lontano è seguita dal movimento della macchina da presa che percorre lo spazio all’interno dell’edificio fino ad arrivare alla porta del titolo, il tutto accompagnato da una leggera musica pop strumentale. 

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Da qui passiamo all’interno con Yasuko, la protagonista interpretata da Takahashi Keiko (moglie del regista) che sta preparando la colazione per il figlioletto. La prossima scena in cui madre e bambino camminano verso la fermata dello scuolabus ci rivela che il complesso residenziale degli appartamenti dove vivono si trova in collina, un fatto che ne ne mette in luce il costo e quindi la classe sociale abbiente a cui la famiglia appartiene. Questo elemento viene in seguito ribadito quando scopriamo che Yasuko non ha bisogno di lavorare, il marito, che vediamo pochissime volte, provvede infatti alle entrate necessarie alla famiglia per vivere. 

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In pochissimi minuti siamo già catapultati quindi nel mondo della famiglia e nel suo status all’interno della società giapponese. Come ha fatto acutamente notare lo studioso e ricercatore Alex Pratt, l’affluente vita domestica nel Giappone degli anni Ottanta siamo – vale la pena ricordarlo – nel 1988, all’inizio della cosiddetta baburu (la bolla speculativa che caratterizza il periodo) che affonda le sue radici nella crescita economica degli anni Sessanta. Proprio in questo periodo, il primo ministro giapponese Ikeda propone infatti il suo piano per raddoppiare il reddito nazionale con un incremento nello sviluppo di complessi di appartamenti e condomini in stile occidentale, come quelli che vediamo nel film, i cosiddetti danchi.

La vita domestica risulta nei casi più estremi chiusa e sigillata, uno stile di vita che negli anni Ottanta e in Door specialmente è rappresentato quasi con toni paradossali e che ha il suo inizio, quindi, proprio durante gli anni della crescita economica post bellica. La porta chiusa protegge dall’esterno, ma isola anche la protagonista e il figlioletto quasi in una trappola. La comunicazione è spesso filtrata, quasi un presagio dei decenni a venire, Yasuko infatti fa molto affidamento sul telefono per comunicare e, a parte il figlio e il marito, tutte le altre persone con cui comunica vengono ascoltate mentre parlano attraverso il citofono. La donna è sola anche quando è fuori dal suo appartamento, la sua non-relazione che spesso cade in diffidenza con i vicini ne è un esempio lampante. In questo senso, il film potrebbe essere letto anche come uno studio sulla solitudine delle figure femminili nelle società tardo industriali, spesso lasciate a se stesse nel fronteggiare la quotidianità e la violenza di una società androcentrica che può irrompere in vari modi. Come non ricordare qui almeno Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles (Chantal Akerman, 1975).

A questa tendenza di isolamento e chiusura possiamo contrapporre, sempre per restare nel mondo della settima arte nipponica, gli elementi architettonici che caratterizzano la quasi totalità dei quarantotto film della serie Otoko wa tsurai yo (Yōji Yamada e altri, 1969-1995). In questi infatti, che sono una sorta di idealizzazione del primo periodo Shōwa, negli alberghi ryokan in cui spesso dorme il protagonista vagabondo Tora-san e nella stessa casa dei suoi zii che è il centro in cui si svolgono le vicende, le porte sono spesso aperte e, anche quando sono chiuse, si tratta di fusuma, leggeri pannelli che lasciano passare rumori e parole e che quindi invogliano e aiutano l’incontro, lo scambio di opinioni e l’inizio di amicizie. 

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Se in Otoko wa tsurai yo, l’elemento architettonico è usato in maniera positiva e come possibilità di aggregazione sociale, in qualche modo l’assenza di pericoli è però quasi un elemento fantastico, in Door l’elemento violento e di irruzione nel focolare domestico è parossistico e portato agli estremi. Quasi un rimosso che ritorna in maniera satirica e spropositatamente sanguinosa nella già citata parte finale, quando il venditore in cerca di vendetta è entrato nell’appartamento della donna e ferito si nasconde. Un piano sequenza di circa un minuto e mezzo, in cui la donna e l’uomo si rincorrono per tutte le stanze dell’appartamento ripresi dall’alto, quasi che il soffitto non esistesse, rivela la planimetria dell’abitato e apre la scatola-appartamento, liberando la protagonista che affronta finalmente, faccia a faccia, i demoni del fuori e la sua alienazione.

 


Titolo originale: Door; regia: Takahashi Banmei; sceneggiatura: Takahashi Banmei, Oikawa Ataru; montaggio: Kikuchi Jun’ichi; fotografia: Sasakibara Yasushi; musiche: Tsuno Gouji; interpreti: Takahashi Keiko (Yasuko), Tsutsumi Daijirō (Yamakawa), Shimomoto Shirō (il marito); produzione: Director’s Company; durata: 94′; uscita in Giappone: 14 maggio 1988.

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