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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

FLAMES OF A FLOWER (Hi no hana, KOJIMA Oudai, 2024)

Osaka Asian Film Festival 2025 Expo Edition 

di Matteo Boscarol

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Supportato dall’ottima prova attoriale del protagonista Yamamoto Ikken e da una serie di idee azzeccate, il lungometraggio si inoltra dove pochi altri film dell’arcipelago hanno osato fare in questi ultimi decenni: mettere in discussione l’esistenza delle forze di autodifesa giapponesi e scandagliare ciò che si cela al di sotto della patina di normalità e ordine con cui di solito vengono rappresentate. 

Flames of a Flower inizia con un gruppo di militari giapponesi impegnati in una missione nel Sudan del Sud. Durante un’imboscata i giapponesi perdono il leader del gruppo, Ito, che viene catturato, mentre un altro soldato giapponese viene ucciso. Questa morte e la cattura di Ito vengono insabbiate per volere del governo nipponico che richiede assoluto silenzio a coloro che erano presenti durante l’attacco e che ora sono riportati in patria. Shimada, uno dei militari impegnati nella missione, ora rientrato in patria, è tormentato da disturbi post-traumatici e dal senso di colpa per aver perso un amico e collega e per aver venduto il silenzio al proprio paese. Riesce però a trovare una certa pace interiore quando comincia a lavorare in una piccola fabbrica di fuochi d’artificio artigianali. 

Dalla fine della seconda guerra mondiale e dallo smantellamento dell’esercito, il Giappone ha mantenuto delle forze di difesa che spesso sono state impegnate in missioni di pace internazionali. Flames of a Flower riflette su come spesso al di sotto di questa nomenclatura esistano, in queste missioni, casi di aggressione e violenza. Inoltre, ed è questa la tematica forse più sviluppata lungo tutto il lungometraggio, per mantenere questa patina pacifista, al di sotto della quale si muovono spesso trame di potere, sono le tragedie individuali ad essere soffocate e sotterrate. 

A questo si aggiunga il fatto che la posizione nello scacchiere internazionale del Giappone, il fatto che sia uno dei pochi paesi senza esercito vero e proprio − e  conseguentemente si appoggi a quello americano − sia stata spesso criticata e messa in discussione da destra a sinistra in maniera abbastanza trasversale. 

Che Kojima Oudai e il protagonista e co-sceneggiatore Yamamoto Ikken abbiano deciso di affrontare delle tematiche tanto complesse e delicate è quindi un merito, visto che raramente sono oggetto di esplorazione cinematografica − Patlabor 2: The Movie (Kidō keisatsu Patoreibā 2 the Movie, 1993) ne è una gloriosa eccezione − ma allo stesso tempo quasi inevitabilmente una scelta che porta con sé difficoltà nel tenere tutto assieme. 

Nel 2018 le morti per suicidio di due membri delle forze di difesa giapponesi, ritornati in patria dopo la permanenza nel Sudan del Sud, avevano destato non poco scalpore nell’opinione pubblica giapponese. Parte da questi fatti, rielaborati per il lungometraggio naturalmente, Flames of a Flower che si focalizza sulle esperienze post Sudan di uno dei sopravvissuti del gruppo, Shimada, interpretato dall’ottimo Yamamoto Ikken. Incapace di mantenere un lavoro fisso, l’uomo vive solitario e trascorre le notti a fabbricare illegalmente armi. Un giorno arriva l’inatteso lavoro come apprendista in una fabbrica di fuochi d’artificio nella prefettura di Niigata. Parallelamente, però, alcuni dei suoi ex commilitoni, incapaci di superare i propri traumi e mossi da un senso di vendetta contro lo Stato, si organizzano in una serie di azioni radicali contro il governo. Shimada viene suo malgrado inglobato così nuovamente dal quel passato da cui sembrava essersi affrancato. 

Contrapporre i fuochi d’artificio, polvere da sparo usata per fini artistici, e armi con polvere da sparo usata per uccidere, non è certo un’idea originale. Nel film, tuttavia, viene messa in immagini in maniera molto riuscita in quanto la creazione di fuochi d’artificio si inserisce nel tessuto territoriale di una zona, Niigata, dove queste pratiche sono parte essenziale della vita della comunità. Flames of a Flower nasce in prima battuta proprio come lavoro dedicato ai fuochi d’artificio e solo in un secondo momento, secondo le dichiarazioni dello stesso regista, si è deciso di intrecciare questo spunto con il tema delle Forze di Autodifesa. I fuochi d’artificio della zona, Nagaoka, sono anche il tema centrale di uno degli ultimi lavori di Ōbayashi Nobuhiko, Casting Blossoms to the Sky (Kono sora no hana: Nagaoka hanabi monogatari, 2012)

Ciò che mantiene il film assieme il quale, come si diceva più sopra, mette molta forse troppa carne al fuoco, è l’ottima prova attoriale di Yamamoto, che riesce a dare spessore e credibilità a un personaggio torturato dal passato, insicuro del presente e senza un futuro. 

Questi tre vettori si incrociano magnificamente nelle scene delle esplosioni dei fuochi d’artificio che scatenano nel protagonista ricordi di morti e aggressioni pur disegnando nel cielo buio disegni di rara bellezza.  

Oltre alla prova attoriale di Yamamoto, vale la pena menzionare Matsukado Yōhei, nel ruolo del comandante catturato dal gruppo dei ribelli del paese africano. È proprio l’entrata in scena del comandante, una volta tornato in Giappone completamente trasformato dalla prigionia africana, e la figura solitaria di Shimada che donano al film una tonalità cupa e tesa. Questa ruvidezza dei personaggi e delle atmosfere cede però nelle sue parti finali quando il lungometraggio mostra qualche incrinatura, scegliendo soluzioni un po’ troppo facili e prevedibili, che ne attenuano l’impatto complessivo. 


Titolo originale: 火の華 (Hi no hana); regia, montaggio, musiche: Kojima Oudai; sceneggiatura: Kojima Oudai, Yamamoto Ikken; fotografia: Iwabuchi Ryūto; personaggi e interpreti: Shimada (Yamamoto Ikken), Itō (Matsukado Yōhei), Fujii Yoichi (Ibu Masatō), Fujii Akiko (Yanagi Yurina); produzione e distribuzione: Animoproduce; prima uscita in Giappone: premiere all’Osaka Asian Film Festival 2025; durata: 124’.

 

English review

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Guided and held together by Yamamoto Ikken’s impressive lead performance and a number of striking ideas, Flames of a Flower ventures into territory rarely explored in contemporary Japanese cinema: questioning the very existence of the Self-Defense Forces and probing beneath the façade of normality and order by which they are usually framed.

The film opens in South Sudan, where a group of Japanese soldiers are deployed on a peacekeeping mission. During an ambush, their leader Itō is captured and another soldier is killed. Both incidents are quickly covered up by the Japanese government, which imposes silence on those involved and sends them back home. Among them is Shimada, who is tormented by post-traumatic stress and guilt—both for losing a comrade and for having kept quiet at his country’s request. Struggling to rebuild his life, he finds a fragile and temporary sense of peace when he begins working in a small fireworks workshop.

At the end of the Pacific War, Japan’s defeat led to the dismantling of its military, with the country permitted only a Self-Defense Force, which in the following decades also started to take part in overseas peacekeeping operations. Yet Flames of a Flower suggests that behind this label lies a darker reality of violence. More pointedly, the film reveals how the effort to preserve a pacifist image frequently comes at the cost of silencing individual tragedies.

Japan’s unique position on the international stage − as one of the few nations without a standing army and reliant on U.S. military protection − has long been a subject of political debate. That director Kojima Oudai and actor/co-writer Yamamoto Ikken chose to confront such sensitive and complex issues is admirable, especially given how rarely Japanese cinema engages with them—Mamoru Oshii’s Patlabor 2: The Movie (Kidō keisatsu Patoreibā 2 the Movie, 1993) being one of the few exceptions. At the same time, the ambition to tackle so much within a two-hour work inevitably leaves the film vulnerable to unevenness and shortcomings.

The story is inspired by real events: in 2018, the suicides of two Self-Defense Force members who had returned from South Sudan sparked widespread controversy in Japan. Fictionalizing these circumstances, the film follows Shimada (Yamamoto) after his return home. Unable to hold down steady work due to PTSD, he lives in self-imposed isolation, secretly spending his nights making weapons for the criminal underworld.

A twist of fate brings him to a fireworks factory in Niigata, where he begins training as an apprentice. Just as a new path starts to take shape, some of his former comrades − still haunted by trauma and consumed with anger toward the state − begin plotting revenge against the government, dragging Shimada back into the past he is desperate to escape.

The symbolic contrast between fireworks − gunpowder transformed into light and beauty − and weapons − gunpowder designed to kill − may not be entirely new, but here it gains fresh resonance through its grounding in local culture. Fireworks traditions in Niigata, especially in Nagaoka, are deeply tied to the region’s community life, and the film was originally conceived as a project about fireworks before the director wove in the theme of the Self-Defense Forces. The Nagaoka fireworks are also central to one of Ōbayashi Nobuhiko’s late works, Casting Blossoms to the Sky (Kono sora no hana: Nagaoka hanabi monogatari, 2012).

What ultimately holds the film together − despite its tendency to take on more than it can handle − is Yamamoto’s performance. He lends depth and credibility to a character scarred by the past, unmoored in the present, and unable to imagine a future. His inner turmoil emerges most powerfully in the fireworks sequences in the central part of the film, where the explosions of light trigger memories of violence and death even as they illuminate the sky with fleeting beauty.

Matsukado Yōhei also leaves a strong impression as Itō, the commander captured in Africa and forever marked by his captivity. His reunion with Shimada provides the film with its most somber and emotionally charged moments. Yet in the final act, the stark intensity of both character and atmosphere gives way to more convenient, predictable resolutions—diminishing the overall impact of a film, which nonetheless remains a very powerful and rewarding viewing experience. 


Original title: 火の華 (Hi no hana); director, editing, music: Kojima Oudai; screenplay: Kojima Oudai, Yamamoto Ikken; cinematography: Iwabuchi Ryūto; cast: Yamamoto Ikken (Shimada), Matsukado Yōhei (Itō), Ibu Masatō (Fujii Yoichi), Yanagi Yurina (Fujii Akiko); production & distribution: Animoproduce; world premiere: Osaka Asian Film Festival 2025; running time: 124’.

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