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SONATINE CLASSICS

SONATINE

Il blog dedicato al cinema giapponese contemporaneo e classico

HAMAGUCHI Ryūsuke

ryusuke-hamaguchi

Le recensioni dei suoi film su Sonatine

Like Nothing Happened (何食わぬ (Nani kuwanu kao), 2003

Passion, (Id.), 2008

The Depths (심도, Simdo), 2011

Intimacies (親密さ, Shinmitsusa), 2012

Touching The Skin of Eeriness (不気味なものの肌に触れる, Bukimi na Mono no Hada ni Sawaru, 2013

Happy Hour (ハッピーアワー, Happī awā), 2015

Haven is Still Far Away (天国はまだ遠い, Tengoku wa mada tōi), 2016

Asako I & II ( 寝ても覚めても, Netemo Sametemo), 2018

Drive My Car (ドライブ・マイ・カー, Doraibu mai kā), 2021

Il gioco del destino e della fantasia/ Wheel of Fortune and Fantasy (偶然と想像, Gūzen to sōzō), 2021

 


Hamaguchi Ryūsuke: destino, fantasia e racconti morali

di Valerio Costanzia

 

Classe 1978, Hamaguchi Ryūsuke nasce nella prefettura Kanagawa. Dopo aver frequentato la Facoltà di Lettere dell’Università di Tokyo, e prima di iscriversi alla Tokyo University of the Arts, inizia a lavorare, senza successo, come assistente alla regia per film commerciali. Capisce presto che quello del cinema commerciale tout court sia un mondo a lui poco affine: viene quindi indirizzato verso una società di produzione televisiva, finché riesce ad arrivare alla Tokyo University of the Arts dove trova, come insegnanti, Takahashi Hiroshi e Kurosawa Kiyoshi. Qui si specializza in regia laureandosi, nel 2008, con il film Passion, intensa e articolata trama di relazioni “pericolose” che ruota attorno ad alcune giovani coppie. Il film viene selezionato per il concorso al Tokyo Filmex del 2008 (un festival internazionale dedicato, in particolare, a lungometraggi nuovi e indipendenti dall’Asia).

Film seminale, Passion mette in luce la grande sensibilità di un autore in nuce che di lì a pochi anni arriverà a comporre una filmografia caratterizzata da opere sempre più personali e con un suo stile ben riconoscibile. Un cinema di parola, da un lato, ma anche di silenzi, di gesti e di sguardi che vanno delineandosi, film dopo film, in un linguaggio estremamente composito, improntato a un rigore formale che tiene a bada la materia drammaturgica a volte sfuggente e debordante, sia per durata sia per slancio empatico. 
Ma il debutto vero e proprio di Hamaguchi risale ad alcuni anni prima, nel 2003, quando, venticinquenne, gira in Super8 Like Nothing Happened (Nani kuwano kao). Del film vi sono due versioni, una più estesa di 98 minuti, e un’altra più breve di 43, inclusa, quest’ultima, negli extra del Blu-ray Grassopher di Asako I & II (Netemo Sametemo). Negli stessi anni Hamaguchi si esercita con altre prove: nel 2007 realizza niente meno che un remake di Solaris di Tarkovskij, a sua volta già portato sul grande schermo da Steven Soderbergh nel 2002. In un’intervista a “Filmmaker Magazine” del maggio 2019, Hamaguchi ricorda questi suoi inizi, svelando il prestigioso docente che lo incarica di lavorare sul remake di Solaris durante il suo primo anno alla Tokyo University of the Arts, ovvero Kurosawa Kiyoshi. Con a disposizione un budget di 4 milioni di yen, Hamaguchi realizza il film partendo dal testo originale di Stanisław Lem (il film, per questioni di diritti, avrà solo delle proiezioni nel circuito universitario e scolastico). Solaris non è l’unico progetto che realizza perché lavora ad altri corto e mediometraggi prima di cimentarsi con il saggio di laurea Passion.
Nel 2010 è la volta di The Depths (titolo coreano: Simdo) che nasce da una coproduzione nippo-coreana o meglio, frutto di un programma di collaborazione tra la Korean Film School e la Tokyo University of Arts. Il film, con un budget pari al doppio di quello per Solaris viene girato in Giappone con un cast coreano. The Depths è forse, con Touching The Skin of  Eeriness (Bukimi na Mono no Hada ni Sawaru), l’unico film in cui Hamaguchi imbastisce una storia, seppur sottotraccia, di detection che fa da base a una pulsione desiderante più esplicita e marcata rispetto agli altri film, come se un côté melodrammatico, decisamente fuori luogo nel suo cinema, provasse a insinuarsi tra le pieghe del racconto.
Il 2011 è l’anno terribile, per il Giappone, del terremoto e maremoto del Tōhoku con il successivo tsunami e i danni causati, tra gli altri, alle centrali di Fukushima. Con il regista Sakai Kō, Hamaguchi inizia un proficuo e lungo lavoro sul versante documentario che si concretizza in 4 film realizzati tra il 2011 e il 2013 e che hanno come protagonisti i sopravvissuti: The Sound of the Waves (Nami no oto) 2011; Voices from the Waves: Shinchimachi (Nami no koe – Shinchimachi) 2013; Voices from the Waves: Kesennuma (Nami no koe – Kesennuma) 2013; Storytellers (Utau hito) 2013.
È in questa fase che il regista prepara il suo nuovo film, Intimacies (Shinmitsusa) uscito nel 2012. Il film ripercorre la gestazione di una pièce teatrale, con una prima parte dedicata alle prove e una seconda alla sua rappresentazione, ed è frutto del corso di recitazione dello spettacolo teatrale Shinmitsusa, come progetto di laurea per gli studenti di una scuola di cinema e teatro di Tokyo, in cui Hamaguchi insegna. Intimacies è un film-laboratorio interamente catalizzato dal teatro e dalla scrittura, privo di filtri e di quarte pareti, senza distinzioni tra privato e pubblico, un lavoro sulle emozioni e sulla scrittura che sembra guardare a Cassavetes, regista molto amato da Hamaguchi, a suo dire fonte primaria del suo amore per il cinema fin dalla prima visione di Mariti (Husbands, 1970). Dopo la fotografia e il teatro, è la danza a essere protagonista del successivo Touching The Skin of  Eeriness del 2013, un’altra lieve incursione nel thriller, dopo The Depths, in cui però i margini tra realtà e fantasia si fanno più flebili.
È il preludio al primo grande successo di Hamaguchi, ovvero Happy Hour (Happī awā). Incurante della durata, Hamaguchi mette in scena la vita quotidiana di un quartetto di donne partendo, anche in questo caso come Intimacies, da un precedente lavoro off di interviste, tratte da un laboratorio di recitazione improvvisato con attori non professionisti, che il regista ha curato nel 2013 presso il Kiito Designe and Creative Center di Kobe, città in cui ha anche ambientato il film.
È un Hamaguchi decisamente diverso quello che si vede in Happy Hour, un regista ormai consapevole, anche grazie al lavoro documentaristico, dell’importanza dell’ascolto per ottenere una recitazione così aderente al personaggio/non personaggio: non è un caso che Sakurako, Jun, Akari e Fumi siano interpretate da attrici non professioniste alla loro primissima prova sul grande schermo e che lo script sia nato dalle autointerviste guidate da Hamaguchi durate il laboratorio. Ovviamente l’ascolto è funzionale alla messa in scena che in quest’opera raggiunge una sua armonica classicità come dimostra l’incipit che ci presenta, secondo gli stilemi del classico découpage, le quattro donne prima sulla funicolare (ennesima prova di quanto i mezzi di trasporto siano vettori determinanti di corpi ed emozioni nel cinema di Hamaguchi) e poi attorno al tavolo.
Happy Hour riceve molti premi, tra cui il Pardo al Festival di Locarno per la migliore interpretazione femminile alle 4 attrici protagoniste e una menzione speciale per la sceneggiatura allo stesso Hamaguchi. Dopo il mediometraggio Heaven is still far away (Tengoku wa mada tōi) del 2016, una piacevole e delicata ghost story, il cinema di Hamaguchi sembra ormai pronto per affacciarsi sui più importanti festival internazionali.
Asako I & II del 2018 è in concorso a Cannes ed è il suo primo film “commerciale” girato in studio. Pur non vincendo, il film segna un ulteriore tassello verso quel riconoscimento a cui certamente ambisce. Hamaguchi si spinge sul versante della fantasia e del gioco, due parole chiave del suo cinema. Giocare con il doppelgänger del personaggio di Baku/Ryōhei ma anche con i sentimenti come in un racconto morale di Rohmer, altro nume tutelare del regista, che cita apertamente durante un’intervista a proposito della proiezione di Asako I & II in Francia, quando ha modo di parlare con Mary Stephen montatrice di molti film del maestro francese. Il riferimento a Rohmer è ancora più evidente in Il gioco del destino e della fantasia (Wheel of Fortune and Fantasy, 2021), nella sua struttura episodica di contes moraux, di caso e immaginazione come recita il titolo originale, Gūzen to sōzō. Il film si aggiudica l’Orso d’Argento alla 71ͣ Berlinale ed è in concorso al Far East Film Festival del 2021. Intanto collabora con il maestro Kurosawa firmando la sceneggiatura di Wife of a Spy (Supai no tsuma) che si aggiudica il Leone d’argento per la migliore regia a Venezia nel 2020.
Un anno d’oro per Hamaguchi il 2021 perché, complice il ritardo causato dal Covid-19 (le prime due storie di Wheel of Fortune and Fantasy sono state scritte e girate del 2019, la terza un anno dopo nel luglio 2020) è anche l’anno di Drive My Car (Doraibu mai kā), entrambi i film distribuiti in Italia da Tucker Film. Ancora il teatro, in particolare Zio Vanja di Čechov, già visto a tratti in Asako I & II con l’attrice naif Maya, ma soprattutto Murakami e una iconica Saab rossa hanno conquistato la giuria di Cannes che ha assegnato a quest’ultima opera il premio per la miglior sceneggiatura.

Breve bibliografia

 
FILM COMMENT
CAHIERS DU CINÉMA
n. 744, maggio 2017
Asako I & II de Ryusuke Hamaguchi, Hidetake Yuki & Abi Sakamoto,
Senses de Ryusuke Hamaguchi, Nicholas Elliott
n. 751, gennaio 2019
Asako I & II de Ryusuke Hamaguchi, Nicholas Elliott
Les secrets d’Asako. Entretien avec Ryusuke Hamaguchi, Nicholas Elliott
n. 755, maggio 2019
Passion de Ryusuke Hamaguchi, Vincent Malausa
n. 778, luglio-agosto 2021
Drive My Car de Ryusuke Hamaguchi
Babel sur le rivage, Mathieu Macheret
La conduite du texte Entretien avec Hidetoshi Nishijima
VARIETY
SIGHT&SOUND
CINEFORUM
MUBI
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